Lo scorso anno la Fondazione “E. Zancan” ha approfondito, nel corso di un seminario, il tema dell’accesso culturale da parte delle persone immigrate. I principali contenuti di quell’incontro sono oggi pubblicati nella sezione monografica dell’ultimo numero della rivista “Studi Zancan” (n. 3/2011). In questi stessi giorni la Fondazione ha voluto tornare ad affrontare la questione con il seminario “La promozione dell’integrazione tra culture nel territorio”, realizzato in collaborazione con la Fondazione Migrantes. Nella sede estiva di Malosco, in Trentino, è infatti aperto il confronto tra operatori sociali, sanitari, educativi di sei regioni italiane, esponenti della Fondazione Migrantes e di alcune Caritas.
“Il tema del seminario è stato sviluppato in prospettiva interdisciplinare e con grande attenzione alle differenze che le politiche in materia di immigrazione presentano a livello territoriale” spiega il coordinatore del seminario, Paolo De Stefani, membro del comitato scientifico della Fondazione Zancan e docente di Diritto internazionale all’Università di Padova. “I gruppi di lavoro – aggiunge – hanno approfondito in particolare due aspetti chiave delle politiche sociali e culturali, che sono gli ambiti particolarmente toccati dal fenomeno dell’immigrazione. Il primo è la partecipazione individuale e collettiva degli immigrati all’elaborazione delle politiche territoriali (non solo di quelle rivolte specificamente a loro). Il secondo è l’azione di formazione interculturale e interprofessionale a una nuova cittadinanza che è necessario intraprendere per far risultare l’immigrazione un’opportunità e una risorsa invece che un problema per la società italiana ed europea, già carica di tensioni e fragilità”. Come sottolinea De Stefani, il seminario intende fornire spunti di riflessione e operativi a chi opera a livello istituzionale, politico, professionale e di volontariato con l’intento di “governare” il fenomeno migratorio, senza limitarsi a gestire le emergenze.
E proprio sull’approccio emergenziale con cui in Italia si affronta il fenomeno riflette monsignor Giovanni Nervo, presidente onorario della Fondazione Zancan e co-coordinatore del seminario. “A distanza di anni l'immigrazione è vista ancora come emergenza perché abbiamo dimenticato la nostra storia: quello che hanno patito i 30 milioni di emigranti italiani sparsi nel mondo. Lo documenta ampiamente Gian Antonio Stella del Corriere della Sera nel volume: L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi”. Inoltre, questo approccio prevale perché “il fenomeno, che iniziava nel 1980, è stato governato con molto ritardo: la prima legge Foschi è del 1986, quelle successive non hanno impostato seriamente il problema. L’ultima, la Bossi-Fini, è una legge non di accoglienza ma di esclusione e presenta l’immigrazione come un pericolo da cui difendersi”.
Come fare per invertire la rotta? “Occorre una informazione ampia, disinteressata, oggettiva – spiega monsignor Nervo –, che apra all’accoglienza, non al rifiuto. Oltretutto, noi abbiamo bisogno degli immigrati, per lavori che gli italiani non fanno più, per coprire il deficit demografico, per aprirci alla globalizzazione che tocca tutti gli aspetti della nostra vita economica, culturale e sociale”. In questo processo gli stessi immigrati “dovrebbero avere un ruolo di protagonisti – incalza –. Questo richiede però che noi sappiamo metterci in ascolto e riconoscere le qualità e le competenze che gli immigrati portano con sé”. Nella costruzione di una società multietnica un ruolo di primo piano è riservato alla cultura, “perché consente lo scambio e l’arricchimento reciproco fra le culture delle varie etnie”.