Come cambierà il welfare con il nuovo assetto federalista? Quali i problemi e quali le prospettive? Sarà questo il tema al centro della tavola rotonda che si svolgerà domani, 6 ottobre, a Montegrotto Terme, in provincia di Padova (hotel Petrarca, piazza Roma 23, ore 15). L’iniziativa, che metterà a confronto studiosi, sindacati e altri esperti, è ospitata nell’ambito degli stati generali della Cgil Lombardia “Declinare il federalismo. Costruire la coesione sociale nella crisi globale”. Al tavolo dei relatori ci sarà anche la Fondazione Zancan, che da tempo dedica attenzione e riflessioni al nuovo impianto federalista.
Punto di partenza di ogni discussione è l’analisi dei numeri. Ecco quelli che riguardano oggi l’Italia: se ci confrontiamo con l’Europa dei 15, la spesa pubblica nazionale per la Ltc (long term care) in rapporto al Pil è tra le più alte (1,3%), inferiore solo a quella dei Paesi Bassi, della Svezia e della Norvegia, dove però esiste una diversa configurazione demografica e un diverso rapporto tra costi e risultati. “La conclusione è che il nostro sistema di welfare a parità di costi riesce a dare meno risposte di altri paesi” avverte il direttore della Fondazione Zancan, Tiziano Vecchiato, che indica come causa “l’incapacità tutta italiana di governare in modo adeguato il rapporto tra trasferimenti e servizi”. Secondo le stime, solo il 10% della spesa per assistenza sociale finanzia «servizi» per le persone e le famiglie, mentre il restante 90% è gestito in forma di trasferimenti monetari.
Le proiezioni al 2060 indicano che la spesa dell’Italia continuerà a essere superiore alla media (2,5% del Pil). “Le previsioni parlano di un futuro impegnativo ma governabile – spiega Vecchiato –, in particolare se consideriamo che l’aumento previsto, a causa dell’incremento della non autosufficienza tra la popolazione anziana, sarebbe di circa 23 miliardi di euro, cioè una crescita media annua di circa 500 milioni di euro”. Non è un costo insostenibile, dunque, se compensato con altre azioni: “Ad esempio, se fosse accompagnato da un’equivalente capacità di investimento in lavoro professionale, stimabile in almeno diecimila posti di lavoro annui. Infatti, medici, infermieri, riabilitatori, addetti all’assistenza e tutte le altre professioni di cura sono condizioni necessarie - tecnologiche e umane - per dare risposte adeguate alla domanda di curare e prendersi cura, in particolare per persone fragili e non autosufficienti”.
Si dovrà, poi, fare i conti con un’altra anomalia tutta italiana: la grande disparità di risorse tra aree del paese e anche delle stesse regioni. Non a caso, la legge n. 42/2009 prevede che la prima fase del federalismo fiscale sia impegnata a riequilibrare le diverse capacità territoriali di risposta. “Per questo – conclude il direttore – gli interventi che rientrano nei livelli essenziali di assistenza dovranno essere assicurati con le risorse a disposizione e con una trasformazione strutturale della rete di risposte”.
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