Il welfare generativo in sanità: potenziali da scoprire

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creato: 18 ottobre 2013

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La proposta del welfare generativo in sanità sarà tra i temi affrontati nell’ambito del congresso internazionale di medicina 2013 MDC (Medicina Dialogo e Comunione) in corso a Padova (Aula Morgagni del Policlinico universitario). Il congresso, dal titolo "Quale Medicina? ", ospiterà numerosi docenti, ricercatori ed esperti: sono previsti oltre 200 partecipanti da diversi paesi, dall’Australia al Venezuela, dagli Stati Uniti al Brasile e da molte nazioni d’Europa. Sarà l’occasione per interrogarsi su alcuni dei temi più attuali nel campo medico: globalizzazione, sostenibilità, personalizzazione delle cure. L’evento è promosso da una collaborazione tra la Clinica Geriatrica dell’Università degli studi di Padova e l’associazione “Panthakù” , con l’associazione internazionale “Medicina Dialogo Comunione”.

Valter Giantin dell’Ulss 16 - azienda ospedaliera di Padova, riassume i principali temi che saranno al centro del congresso: “Circa 1,5 miliardi di persone, cioè un quinto della popolazione mondiale, ogni anno attraversano per diversi motivi la propria frontiera. È inevitabile dunque che la globalizzazione influenzi anche la “sfera salute”. Inoltre, l'impatto tra culture diverse rende la condivisione delle conoscenze sulla salute e sulle cure più rapida e facile a livello globale”. Il sistema sanitario deve affrontare delle sfide anche in materia di sostenibilità: “In tutto il mondo dovremo fare i conti con l’aumento della popolazione anziana e quindi della disabilità - ricorda Giantin -. Ma questo cosa significa? Che servono più risorse per la salute? Sì e no, se è vero che di fronte a una forte disparità di spesa abbiamo risultati simili sulla salute di diversi paesi”. Infine, la personalizzazione delle cure: “Sempre più aziende sanitarie sentono la necessità di un recupero degli aspetti più umani e di mettere la persona al centro del nostro operare - conclude Giantin -. La medicina sta rapidamente cambiando e così dovremo essere pronti a cambiare, personalizzando il più possibile le cure”. 

Nel rapporto “Vincere la povertà con un welfare generativo” (il Mulino, 2012), la Fondazione Zancan mette a disposizione alcuni dati relativi alla spesa sanitaria nazionale. In Italia nel 2010 è stata il 9,5% del Pil (era l’8% nel 2000). Il 77,6% è di natura pubblica (era il 72,5% dieci anni prima) ed è finanziata per il 99,8% dalla raccolta fiscale. Questi dati, anche nel confronto con altri paesi (la spesa sanitaria complessiva in Francia e Germania, ad esempio, era nel 2010 poco sotto il 12% del Pil), dimostrano che “non siamo sull’orlo del baratro di welfare - sottolinea il direttore Tiziano Vecchiato -, abbiamo indici di spesa inferiori di altri paesi senza farci mancare risposte necessarie e anzi abbiamo i tempi e i mezzi per affrontare problemi che non sono ‘fuori controllo’ come avviene per altri comparti di spesa pubblica. Non si spiega perciò perché da tempo sono state introdotte pratiche di scoraggiamento, di tendenziale terrorismo psicologico, ad esempio per fare sembrare insostenibile la spesa per la non autosufficienza e altre risposte di natura universalistica, che interessano soprattutto i più deboli e fragili”. Tanto più che - come evidenziato da ricerche dell’Ocse - i servizi di assistenza sanitaria (così come i servizi in altri ambiti di welfare) giocano un ruolo importante nel ridurre le disuguaglianze socio-economiche: “I servizi di assistenza sanitaria, sociale, educativa, di sostegno abitativo - ricorda Vecchiato - in Europa riducono le disuguaglianze di un terzo”. Mentre i dati internazionali su spesa e occupazione nei servizi sanitari pubblici e privati evidenziano come in Italia “abbiamo potenziali di occupabilità a disposizione, se pensiamo che nel 2010 in Italia c’erano 8,2 occupati in sanità per milione di euro di spesa (pubblica e privata), contro 9 occupati per milione di spesa in Spagna, 9,6 in Germania e 12,7 nel Regno Unito. In rapporto alla popolazione, significa che nel 2010 avevamo 20 occupati in sanità ogni mille abitanti, contro 27,3 in Francia, 33,5 nel Regno Unito e 34,1 in Germania. Tra l’altro si tratta in buona parte (quasi due terzi) di occupazione femminile, con possibilità dunque di ridurre il divario occupazionale di genere. L’Italia potrebbe migliorare non poco la propria capacità di occupazione – conclude – tenendo conto che il nostro, tra i paesi europei, ha una struttura della popolazione molto anziana e un deficit di occupabilità dei ragazzi che penalizza la raccolta fiscale e la finanziabilità complessiva del sistema di cura”. 

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