Rendere, rigenerare, responsabilizzare: combattere la povertà in 3 mosse e 5 passi

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creato: 10 febbraio 2015

TAGS: poverta spesa welfare generativo

Nella lotta contro la povertà i dati ci inchiodano all’inefficacia delle azioni di contrasto. Non è una sorpresa: da tempo è nota l’urgenza di un cambio di rotta. La Fondazione Emanuela Zancan lo sostiene da anni. Il passaggio a soluzioni di “welfare generativo” è necessario per superare le pratiche assistenzialistiche e dare impulso a forme di socialità che rigenerino risorse e capacità. Il nuovo Rapporto 2014 “Welfare generativo. Responsabilizzare, rendere, rigenerare(il Mulino, 2015) indica azioni concrete e necessarie per cambiare passo e contrastare la povertà.

“I risultati del nostro welfare li conosciamo, sono parziali e perdenti, mentre sono aumentate le fonti di prelievo da parte di stato, regioni, enti locali – sottolinea il direttore della Fondazione, Tiziano Vecchiato -. Se il welfare è un costo, il prelievo diventa necessario «per ogni erogatore»: a monte la fiscalità generale, in prossimità delle persone l’imposizione regionale e locale. Il punto di sintesi sono le persone e le famiglie: vedono sommarsi le voci in uscita mentre rimangono inadeguati i servizi in entrata. Aumentano i costi ma non le risposte. Gli andamenti degenerativi lo testimoniano, anzi ci danno la misura dell’urgenza di affrontarli con scelte coraggiose”.

“È nei momenti di maggiore difficoltà che le resistenze al cambiamento possono essere fiaccate, messe in discussione, per poterle affrontare e superare” sottolinea il Rapporto. Infatti, nel corso degli ultimi mesi, finalmente, la voglia di cambiamento sembra aver iniziato a diffondersi. Lo dimostrano le sperimentazioni partite in diversi territori che puntano a una nuova idea di welfare. Cambiare è possibile. Ma con quali passi? Sono almeno cinque: a) ridurre i trasferimenti e trasformare il valore equivalente in servizi; b) misurare il rendimento in occupazione e in gettito fiscale e contributivo conseguente; c) misurare gli indici di ampliata accessibilità a vantaggio di quanti ne hanno bisogno a costi per loro sostenibili; d) valorizzare e misurare le capacità degli aiutati (dei beneficiari delle risposte di welfare) nel rigenerare quota parte delle risorse investite; e) portarle a corrispettivo sociale, misurando l’impatto e il “dividendo sociale” conseguito.  Sono azioni che parlano di «cosa» e «come» raccogliere, in base alle capacità, per poter distribuire più equamente le risorse a disposizione, facendo rendere i talenti, su scala personale e sociale, così da rigenerare le capacità e le risorse, responsabilizzando ogni persona.

“Chi sostiene che in Italia non esiste un reddito sociale non conosce o finge di non conoscere le forme di reddito «garantito» già praticate su vasta scala e in modo categoriale – aggiunge Vecchiato -. Insieme costituiscono un grande flusso di miliardi di euro. È un sistema assistenziale non governato e soltanto amministrato. Un cambio di paradigma è necessario. I costi possono diventare investimento, con verifiche di esito e di impatto sociale. Ben oltre quindi le nostalgie di un passato assistenziale. Ha lasciato in ombra le responsabilità, le capacità, i doveri. Anche i poveri possono rivendicarli per lottare contro la povertà”. Ma se nulla cambierà, prepariamoci a sentirci ripetere ancora dall’Istat tre cose:

Aumentano le disuguaglianze. Tra il 2007 e il 2011 la disuguaglianza dei redditi disponibili in Italia è aumentata di quasi 1 punto percentuale. Nel 2012 il 10% delle famiglie italiane più ricche possedeva il 46,6% della ricchezza netta familiare totale, il 50% delle famiglie meno abbienti possedeva circa l’8%. 

Aumenta la povertà. Negli ultimi anni è sensibilmente aumentata quella «relativa» e quella «assoluta». Nel 2013 si contavano oltre 10 milioni di persone «relativamente povere»: un italiano su sei (16,6%) e una famiglia su otto (12,6%) si trovava in condizione di «povertà relativa». Nello stesso anno si stimavano oltre 6 milioni di poveri «assoluti», contro i 4,8 dell’anno precedente: un italiano su dieci (9,9%) e una famiglia su tredici (7,9%).

Aumenta la disoccupazione. Il tasso di disoccupazione complessivo è raddoppiato dal 2007 (6,1%) al 2013 (12,2%). Tra i giovani italiani 15-24enni il tasso di disoccupazione nel 2013 ha raggiunto il 40% a livello medio nazionale (il 51,6% nel Mezzogiorno): durante la crisi è raddoppiato (era pari al 20,3% nel 2007) e la forbice tra i giovani e le fasce più anziane nel mercato del lavoro si è ulteriormente allargata. 

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