I poveri possono aspettarsi di essere aiutati per bisogno, per diritto, per compassione? La risposta non è facile, vista la persistenza della povertà nel nostro paese. Lo mostrano i dati Istat sulla diffusione della povertà relativa: nel 2009 erano povere 2,66 milioni di famiglie, il 10,8% di quelle residenti, nel 2010 lo erano 2,73 milioni di famiglie (l’11%); nel 2009 erano povere 7,8 milioni di persone, il 13,1%, nel 2010 lo erano 8,3 milioni, il 13,8% dei residenti.
Chi interpreta il dato in modo positivo sostiene che non peggiora più di tanto. Chi pensa il contrario dice che, malgrado le molte risorse spese (circa 2 miliardi di euro dei comuni, senza contare le altre istituzioni) per sussidi economici, ammortizzatori sociali e altre forme di sostegno, non si riesce a incidere sul fenomeno e a ridurlo. Stando così le cose, molti sono condannati a restare in miseria, con meno diritti e meno opportunità. Esattamente il contrario di quello che vorrebbe la Costituzione.
Nel 2010 la povertà relativa, rispetto all’anno precedente, è aumentata tra le famiglie di 5 o più componenti (dal 24,9 al 29,9%), tra quelle con membri aggregati (dal 18,2% al 23%) e tra le famiglie con un solo genitore (dall’11,8 al 14,1%), tra le famiglie del Mezzogiorno con tre o più figli minori (dal 36,7% al 47,3%), tra le famiglie di ritirati dal lavoro in cui almeno un componente non ha mai lavorato e non cerca lavoro (dal 13,7% al 17,1%). Ma la povertà è aumentata anche tra le famiglie che possono contare su un lavoratore autonomo (dal 6,2% al 7,8%) o con un titolo di studio medio-alto (dal 4,8% al 5,6%). Tra queste ultime è aumentata anche la povertà assoluta, passando dall’1,7% al 2,1%.
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