Continua l’impegno della Fondazione Emanuela Zancan nella promozione di nuove soluzioni di welfare per la tutela dei più deboli. La proposta, contenuta nel volume “Vincere la povertà con un welfare generativo” (il Mulino, 2012), viene discussa e approfondita oggi nel corso di un seminario ad invito con un gruppo di esperti, presso l’Università Cattolica di Milano. Tra i partecipanti Mauro Magatti, Giuseppe Scaratti, Giancarlo Rovati, Rosangela Lodigiani, Franco Brambilla e Gerolamo Spreafico dell’Università Cattolica di Milano, Giovanni Sarpellon dell’Università di Venezia, Costanzo Ranci del Politecnico di Milano. Gianbattista Martinelli della Fondazione Don Gnocchi.
Il welfare generativo prevede un superamento della logica tradizionale di tipo assistenzialistico, con un coinvolgimento realmente attivo della persona in condizione di bisogno. La logica è: non posso aiutarti senza di te. “La nostra idea nasce da una domanda - spiega il direttore della Fondazione Zancan, Tiziano Vecchiato che coordina il seminario-: ci siamo chiesti cosa succederebbe se una parte dei trasferimenti economici fossero gestiti responsabilizzando, rigenerando le risorse, facendole rendere senza consumarle”. Le potenzialità di questo approccio se riconoscibili chiedendosi ad esempio: “Se la cassa integrazione alimentasse lavoro gestito a fini sociali, senza mantenere le persone in condizione passiva, si avrebbe un lavoro temporaneo gestito e già remunerato, che garantirebbe socialità, uscita dalla solitudine, dignità, apprendimento, sviluppo di nuove capacità, rendimento economico, utilizzo dei proventi per fini di solidarietà, incremento del capitale sociale di tutti”. È questa la sfida, che significa guardare al welfare non come costo ma come investimento.
I dati contenuti nel volume riferiscono che tra il 2008 e il 2009 la spesa assistenziale dei comuni è aumentata del 4,7%, quella per la povertà del 7,4% e quella per il disagio economico del 13,3%. In cinque anni (2005-2009) la spesa sociale, senza contare l'inflazione, è passata da 5.741 milioni di euro a 6.979 milioni di euro (+22%). Più marcato l'incremento della spesa per il disagio economico (+42%) e quella per la povertà (+37%). Ma a fronte di queste risorse i risultati restano scarsi, perché in Italia si continua a preferire i trasferimenti economici invece che l’attivazione di servizi in grado di accompagnare le persone verso l’uscita dalla condizione di bisogno. In Europa i paesi che fanno diversamente riescono ad abbattere un terzo delle disuguaglianze, riducono dell’80% il rischio di povertà assoluta e del 40% il rischio di povertà relativa.