Il 23% delle persone in condizioni di povertà assoluta sono bambini, che non hanno a disposizione beni e servizi essenziali per il loro sviluppo. È un problema particolarmente grave perché i bambini non possono provvedere a se stessi se non lo fanno i genitori, quelli che li amano, le comunità locali e le istituzioni.
Per molti bambini povertà significa vivere in condizioni di abbandono e di deprivazione, senza una casa degna di questo nome, senza o con pochi affetti. Anche per questo la povertà da bambini è difficile da affrontare: manca molto di più di quello che normalmente manca agli adulti poveri, la stessa speranza di vita che viene negata.
Tuttavia, la povertà infantile è una questione continuiamo a sottovalutare. Il sistema dei servizi per la prima infanzia si fonda su risorse incerte, su accessi difficili e selettivi, su un presente instabile e un futuro che si prospetta in salita. I servizi sono distribuiti nel territorio senza criteri di equità e non sono accessibili per quanti ne avrebbero bisogno. È un quadro poco incoraggiante che emerge nel prossimo Rapporto sulla lotta alla povertà 2013. Non si tratta solo di un problema di risorse economiche: a volte è un alibi a cui far ricorso per nascondere inefficienze gestionali e mancanza di scelte strategiche che evidenziano un deficit di umanità difficilmente superabile.
Esistono soluzioni praticabili? I confronti europei ci insegnano che la disponibilità o meno di servizi per l’infanzia contribuisce notevolmente a ridurre proprio la povertà dei bambini, ben oltre l’effetto dei trasferimenti economici. In Italia tuttavia la spesa per la protezione sociale destinata a bambini e famiglie è nettamente inferiore rispetto alla media europea: nel 2010 era l’1,3% del Pil, contro il 2,3% del Pil mediamente in Europa. Più di metà di questa spesa è costituita da trasferimenti, nonostante l’impatto dei trasferimenti in termini di riduzione del rischio di povertà tra i minori italiani sia relativamente ridotto: -6,7 punti percentuali, contro più del doppio (-14,2) a livello medio europeo. Decisamente superiore è il potenziale di aiuto dei servizi per la prima infanzia, se consideriamo che nel 2007 l’Italia era il Paese Ocse con il più alto tasso percentuale di riduzione della povertà tra i bambini 0-6 anni destinatari di servizi educativi e di cura. Ciò nonostante la diffusione dei servizi nel nostro Paese è limitata, se pensiamo che soltanto l’11,8% dei bambini con meno di 3 anni frequenta un nido, con forti differenze tra aree territoriali.
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