Monsignor Nervo e le gemme del cambiamento

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creato: 21 marzo 2014

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Il 21 marzo 2013 ci lasciava monsignor Giovanni Nervo, fondatore e primo presidente della Caritas. Tiziano Vecchiato lo ricorda parlando di come don Giovanni amasse le "gemme terminali", quegli incipit di cambiamento sociale e del welfare che solo i profeti sanno vedere e promuovere

È passato un anno da quando don Giovanni ci ha lasciati e sembra ieri. Parlare di lui è sentirlo vivo in mezzo a noi, discreto come sempre, in ascolto. Sentirsi ascoltati e capiti è stata per molti un’esperienza difficile da dimenticare, inconsueta in un mondo in cui tutti vorrebbero dire, convincere, far prevalere il proprio punto di vista. Non è vita vissuta ma ostentata.

Quella vera è invece incontro, attenzione, condivisione… per generare nuova vita. Il Vangelo e la Costituzione in dialogo, per riconoscere potenziali di nuova socialità. Anzi per prefigurarli nelle gemme o, come le chiamava don Giovanni Nervo, le “gemme terminali”.

Perché chiamarle così? Perché in primavera gli abeti, i pini, i larici esprimono i propri potenziali di crescita proprio ai confini, nelle punte dei rami, dove si concentra il massimo di fragilità e potenzialità. Le gemme, fragili e potenti, sono un futuro che accetta tutti i rischi di questa sfida.

Don Giovanni diceva che per affrontarla è necessario cercare e riconoscere le gemme del cambiamento sociale. Lì è il massimo della nostra fragilità e il massimo del cambiamento possibile. Basta poco per scoraggiarlo, per fermarlo, per trasformarlo in conflitto, per fare della vita il suo contrario.

Molte criticità sociali sono nate così, dalla disattenzione, dall’incapacità di accogliere il nuovo e coltivarlo. La vita che si rinnova ogni primavera è discreta, come quella sociale. Ma può diventare impetuosa, quando non è compresa e accolta. Erano le sue raccomandazioni: perché una migrazione di popoli non si trasformasse in vent’anni di emergenza sociale, in vent’anni di paura e di chiusura all’incontro tra umanità. Lo diceva anche per le emergenze educative, nei profondi cambiamenti che le famiglie stanno attraversando da anni. Lo diceva per la “non autosufficienza”. Non c’era motivo di farne un’emergenza sociale e sanitaria, visto che le risorse non mancavano, come pure le capacità, le professionalità, le possibilità di generare nuovo lavoro per prendersi cura di bisogni umani fondamentali.

Ma, senza coraggio e attenzione, i potenziali a disposizione si trasformano in sfide impossibili. È colpa della politica miope, incapace di guardare oltre gli utili a breve. Ma è anche e soprattutto deficit di un’umanità, chiusa in se stessa, resiliente ai cambiamenti, entropica, incapace di accogliere il proprio bene.

Non si spiegherebbe diversamente il crollo di speranza sociale. È umanità che non fa spazio alle nuove generazioni, preoccupata di difendere i diritti consolidati, ostile alle innovazioni necessarie, incapace di investire nel proprio futuro e per il bene di tutti.

Don Giovanni era molto affezionato alle gemme “terminali”, perché ci chiedono di guardare in alto e all’orizzonte. Si aggiungono alle innovazioni precedenti, le perfezionano, ne preparano altre. È vita sociale che si rinnova, senza replicarsi, travalicando il già visto, preparando nuovi modi di essere società. Non è facile capirlo, in una recessione di welfare come quella che stiamo vivendo. Ma lo sanno i profeti come lui, condannati a vedere prima e meglio quello che tutti gli altri non vedono e non ascoltano. Purtroppo gli altri sono, “quasi tutti”, immersi nel presente e incapaci di ascoltare la brezza leggera. Lo capiranno dopo e tardi mentre la sofferenza dei profeti si consuma come lo sforzo delle gemme in primavera. Devono lottare contro la freddezza, mentre la pianta da cui stanno nascendo le spinge, concentrando nella loro fragilità la propria forza, anche se non è pronta a non essere più come prima. 

Intervista a Tiziano Vecchiato www.vita.it 20 marzo 2014

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