Una spending review implacabile l’han fatta davvero: sui fondi per combattere la povertà. Dal 2008 a oggi hanno tagliato il 69,4%. Proprio mentre crescevano gli affanni delle famiglie: la metà di quelle con tre figli, nel Sud, è in miseria. Lo dicono la Fondazione Zancan e un rapporto della Commissione parlamentare sull’infanzia: la crisi pesa soprattutto sui bambini. Gli ultimi dati del Centro studi veneto mettono i brividi: tra il 2011 e 2013 «la percentuale di famiglie con almeno un figlio minore relativamente povere è aumentata di quasi 5 punti percentuali, dal 15,6% al 20,2%». A dispetto di tutte le chiacchiere sulla famiglia («Ci vuole ben altro che qualche spot coi cuccioli in braccio, bambini o cagnolini che siano», ha scritto furente il direttore di Famiglia Cristiana Antonio Sciortino) il quadro è drammatico.
«La situazione è particolarmente grave per le famiglie con tre o più figli minori», insiste il dossier: per oltre un terzo sono «relativamente povere». Nel Mezzogiorno, come dicevamo, il quadro è ancora più fosco: è povera più di una famiglia su tre (36,4%) con almeno un figlio minore e poverissimo il 51,2% di quelle che hanno tre o più figli piccoli o adolescenti. «I bambini sono un segno. Segno di speranza, segno di vita, ma anche segno “diagnostico” per capire lo stato di salute di una famiglia, di una società, del mondo intero», ha ricordato mesi fa papa Francesco. Se è così, allarme rosso: le famiglie con almeno un bambino sprofondate nella povertà assoluta, spiega il dossier «La povertà infantile in Italia» della Fondazione, negli ultimi tre anni sono raddoppiate, dal 6,1 al 12,2%, e sono oggi il triplo rispetto al 2007, l’ultimo anno prima della crisi. E così, conferma l’Istat, sono aumentati i bambini e gli adolescenti che versano in condizioni di miseria: erano 723 mila nel 2011, sono quasi un milione e mezzo oggi.
Ancora più dura però, per certi aspetti, è la bozza del rapporto finale dell’«Indagine conoscitiva sulla povertà e il disagio minorile» della Commissione parlamentare per l’infanzia, che ha come presidente Michela Vittoria Brambilla e come relatrice Sandra Zampa. Dove si riconosce la capitolazione dello Stato in quella che dovrebbe essere una guerra alla miseria, alla fame, al degrado del nostro capitale più prezioso: i bambini.
Dopo avere ricordato il progressivo smottamento della società, compreso il dato che la povertà assoluta è aumentata perfino «tra gli impiegati e i dirigenti» e «anche in vaste aree del Nord», la relazione spiega che «nel 2007 i bambini che non potevano permettersi un pasto proteico una volta ogni due giorni erano il 6,2%, nel 2013 tale numero risultava già più che raddoppiato, raggiungendo la percentuale del 14,4». Un bambino su sette. In un Paese che ancora si fa vanto di appartenere al G8. Certo, la drammaticità di oggi è diversa da quella denunciata dall’inchiesta parlamentare sulla miseria di Stefano Jacini nel 1880 o da quella analoga ripetuta nei primissimi anni 50 del Novecento. Proprio perché ricordiamo quei nostri nonni bambini ai tempi in cui il medico Luigi Alpago Novello scriveva nel 1900 che nelle famiglie di Conegliano la perdita di un figlioletto causava a volte «minor dolore non dirò di un grosso animale bovino ma di una semplice pecora», riscoprire questa Italia povera getta sale su ferite antiche.
Che cosa hanno fatto i governi per contenere questa nuova ondata di povertà? Risponde la Commissione parlamentare d’inchiesta: troppo poco. Soprattutto rispetto agli altri: «Con riferimento all’anno 2011, la Francia ha ridotto del 17% la povertà dei minori, la Germania del 17,4%, il Regno Unito del 24,4%, la Svezia del 17,5%» e noi solo del 6,7%. Peggio perfino della Spagna (7,6%) che certo meno in crisi non è. A farla corta: nel 2009 lo Stato stanziava per le politiche sociali, complessivamente, due miliardi e 523 milioni e oggi, come dicevamo, meno di un terzo. Il 7° «rapporto aggiornamento Crc», citato nella relazione, fornisce dettagli in più: il Fondo per le politiche della famiglia, ad esempio, nel 2009 era a 186 milioni e mezzo, oggi meno di 21. Nove volte di meno. Anche l’ultimo «Report Card» dell’Istituto degli Innocenti, dal titolo «Il benessere dei bambini nei Paesi ricchi», ci inchioda: «Nella classifica generale l’Italia occupa il 22º posto, alle spalle di Spagna, Ungheria e Polonia…». Di più, incalza il rapporto parlamentare: nel Mezzogiorno «tende ad affermarsi un modello nutrizionale sempre più simile a quello esistente nei Paesi del Sud del mondo, in cui si abbandona la tradizione alimentare nazionale a favore di un consumo eccessivo del cosiddetto junk food , il cibo ipercalorico a scarso valore nutrizionale, che però vanta un costo basso».
Per non dire della povertà educativa, strettamente legata a quella economica: la regione più povera sotto questo profilo, «cioè dove si riscontra la minore presenza di servizi educativi, è la Campania, seguita ex aequo da Puglia e Calabria e poi dalla Sicilia». Nessuno, però, può chiamarsi fuori: «Si osserva che le regioni definite “ricche” di offerta educativa in Italia, vengono qualificate come “povere” nel confronto con altri Paesi europei. Volendo operare un esempio concreto, per la copertura dei nidi, il target europeo è il 33%, mentre in Italia, al di là dell’Emilia Romagna, che risulta la prima Regione, con il 28%, la media nazionale si attesta intorno al 17».
Cosa fare? Forse la soluzione giusta, rispondono sia la Commissione e sia la «Zancan», non sono i «bonus bebè». Cioè la distribuzione a pioggia di manciate di soldi: molto meglio, ad esempio, concentrare gli sforzi e spostare 1,5 miliardi dagli assegni familiari su un progetto per raddoppiare i «nidi» così da accogliere 403 mila bambini. Cosa che consentirebbe, tra l’altro, di «creare oltre 40 mila posti di lavoro».
di Gian Antonio Stella (corriere della sera.it 5 dicembre 2014)
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