Sono molti i settori della produzione - dall’agricoltura ai servizi – in cui il lavoratore, pur lavorando a tempo pieno, resta al di sotto della soglia di povertà. È il caso del lavoro nero, sottopagato o con modalità che implicano la restituzione di parte dello stipendio, solo per fare alcuni esempi. Ci sono poi forme di “caporalato” che non sono più solo nell’agricoltura e al sud Italia, ma che si estendono ovunque, anche in Veneto. È stato questo il focus del convegno “Il lavoro povero: dove l’illegalità incontra la legalità” (Padova, 9 marzo). Sono intervenuti: don Albino Bizzotto (Beati i costruttori di Pace), Tiziano Vecchiato (direttore della Fondazione Emanuela Zancan), Luciano Greco (facoltà di Economia, Università di Padova), Christian Ferrari (CGIL Padova), Marco Lombardo (Libera Padova), don Luca Facco, direttore Caritas Padova, e Roberto Ongaro, responsabile regionale lavoro PD.
Don Bizzotto ha stimolato la riflessione così: “Se il lavoro non è più il luogo in cui si realizza la dignità, come si può dare speranza e possibilità di futuro alle tantissime persone che si rivolgono al volontariato per un aiuto e per una possibilità di vita dopo l'emergenza? Se l'ente locale offre 7 euro per un giorno di lavoro qual e il contributo pubblico alla soluzione del problema della povertà?”.
Vecchiato ha sottolineato: “Con questo convegno si porta all’attenzione della comunità padovana un’area di povertà poco conosciuta e preoccupante per gli sviluppi che potrebbe avere. Riguarda lavoratori sottopagati che operano soprattutto nella logistica e nei servizi della mobilità delle merci. Ricevono un basso salario e spesso sono ostaggio di chi offre loro servizi (come alloggio e microcredito). In questo modo diventano dipendenti di chi gli offre un lavoro precario e può disporre di loro come crede, anche oltre la legalità. È una condizione che a volte si configura come tratta e sfruttamento di lavoratori poveri e che continuano a essere poveri lavorando in queste condizioni”.
“Lo sfruttamento rappresenta un meccanismo di contenimento di costi di produzione ma anche, forse soprattutto, un canale di collegamento tra economia criminale e economia legale – ha evidenziato Greco -. Lo sfruttamento, anche nelle zone industriali vicino ai grandi centri urbani del Nord e del Nord Est, è un canale di impiego dei capitali da riciclare, di sfruttamento dell'immigrazione illegale, ecc. L'impatto sociale di questi fenomeni è la povertà dilagante, anche tra classi lavoratrici (non solo immigrate), e l'alimentazione dei fenomeni criminali nelle periferie urbane”.
“Esistono larghe opacità non solo sull’aspetto della retribuzione e della contribuzione – ha detto Ongaro - ma anche sulla reale corrispondenza tra assunzione, retribuzione, rispetto delle norme contrattuali. Nel caso di lavoratori extracomunitari oltre alla condizione di immigrazione clandestina che diventa arma di ricatto, c’è anche il fondato sospetto che ci siano ‘richiami’ di lavoratori potenziali dai paesi di origine”.
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