L’universalismo? Senza welfare generativo è una chimera

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creato: 14 dicembre 2015

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Welfare generativo

La cura della vita ha trovato soluzioni originali, poi diventate forme sociali nel passaggio da carità a giustizia. I più deboli ne hanno avuto grandi benefici, malgrado il potere che caratterizza la relazione tra chi offre e chi riceve aiuto. Nel volume «L’amore ai tempi della globalizzazione» (ed. Città Nuova 2015) Honnet ne parla così: «Ho sempre problemi quando questo concetto del diritto al welfare è rimpiazzato da altro, perché è una grande conquista civile il fatto che un soggetto non debba essere grato per i servizi di welfare ricevuti». Gli fa eco Boltanski: «Insomma i problemi che riguardano gli anarchici sono gli stessi che incontriamo nell’agape». In altre parole l’amore che anima l’incontro tra carità e giustizia è problema e soluzione. Significa che in futuro i regimi di welfare devono affrontare questa sfida per produrre eccedenza. È insita nel dono, quando non chiede corrispettivo ed evita lo scambio.

Cittadinanza generativa

Per Paolo VI la giustizia era misura minima della carità. Il compito della giustizia non è di essere soltanto giusta, ma sempre più giusta, con soluzioni performanti, non adattate al come sempre. Ma oggi «come sempre» significa «sempre meno», cioè incapacità di affrontare i problemi fondamentali della vita. I sistemi di welfare che non sono diventati laboratori di nuova socialità e si sono ridotti a scambio tra disuguali, senza capacità di innovazione sociale. In questo modo i diritti restano individuali e senza «corrispettivo sociale». Migliaia di persone cantando la Marsigliese si chiedono quanto dovremo pagare per essere ancora così lontani dalla «fraternité», mentre le soluzioni di welfare in Europa si sono stemperate in un crogiuolo di azioni povere di reciprocità. Il welfare tradizionale ha così potuto diventare prestazionista, con diritti a riscossione, «privati» di responsabilità sociale, incapaci di cittadinanza generativa.

Universalismo moltiplicativo

L’universalismo selettivo dei diritti «assicurati» ha trovato espressione nelle riforme sanitaria (1978) e sociale (2000), ma sta diventato recessivo. Per questo il welfare generativo propone di regolare l’azione sociale con diritti «a dividendo sociale». Significa passare dal consumo di risorse alla capacità di rigenerarle per gestire le eccedenze a vantaggio dei più deboli. L’agire assistenziale ha sedato le responsabilità. Il concorso al risultato, personale e sociale, è invece strategia a disposizione per una socialità interessata a rinnovarsi e a moltiplicare i valori a disposizione. Significa trasformare il potere di chi aiuta e la debolezza degli aiutati in forze convergenti, riconoscendo dignità ad ogni persona. È nativa nelle pratiche sociali che non temono i debiti di umanità, anzi li risolvono nell’incontro delle responsabilità. È necessario promuoverle con nuove soluzioni giuridiche, capaci di garantirci maggiore giustizia sociale. Sono proposte nel volume Cittadinanza generativa (ed. il Mulino 2015). Puntano sul rendimento moltiplicativo delle responsabilità per investire in nuova umanità.

Fonte: Rubrica Welfarismi di Tiziano Vecchiato, Vita, dicembre 2015

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