Valutazione multidimensionale del bisogno dei membri del nucleo familiare; costruzione di un patto con i servizi; presa in carico complessiva del nucleo, con il coordinamento di più interventi contemporanei; presa in carico globale e olistica. E ancora inclusione attiva, empowerment, approccio personalizzato, presa in carico integrata, équipe multidisciplinare. Sono queste le parole-chiave che si ripetono all’interno delle “Linee guida per la predisposizione e attuazione dei progetti di presa in carico del Sostegno per l’inclusione attiva” approvate in Conferenza Unificata, ovvero le “dritte operative” che il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha fornito ai servizi per realizzare già nel 2016 la prima misura nazionale di contrasto alla povertà. Tale misura, al momento ancora senza nome, nella sua fase di start-up ha il profilo di un’estensione all’intero territorio nazionale del Sia-Sostegno per l’inclusione attiva, già sperimentato nelle 12 città con più di 250mila abitanti e caratterizzato dal “doppio binario”: un sostegno al reddito accanto a una presa in carico integrata della persona, che mira alla fuoriuscita dalla condizione di povertà.
La presa in carico integrata è la chiave di volta del nuovo modello, ma è più facile a dirsi che a farsi.
Chi ci sta provando è la Provincia di Cremona, che ha puntato sulla presa in carico integrata nel contrasto all’esclusione sociale e lavorativa, in collaborazione con i servizi sociali e le aziende sociali dei Comuni della provincia e con la Fondazione Zancan.
Cosa insegna al resto d’Italia l’esperienza di Cremona, in vista dell’allargamento del Sia?
Innanzitutto la consapevolezza che la presa in carico integrata non si fa per decreto o con delle Linee guida, ma deve essere preceduta da una formazione a tappeto di tutti gli operatori. Che devono avere un panorama di tutto il quadro, sia del mercato del lavoro sia degli strumenti di sostegno al reddito, perché “fare rete” non significa far sedere attorno a un tavolo delle persone ma creare collegamenti e sinergie, anche fra le risorse; tutti gli operatori devono parlare una lingua comune, facendo pulizia dei reciproci pregiudizi che esistono; tutti gli operatori devono imparare le competenze trasversali legate a un buon ascolto, che in tanti casi potrebbe anche consentire di capire che l’attivazione di un sostegno economico non è necessaria. In secondo luogo ci vogliono tempo e numeri: gli operatori hanno il dovere e la necessità di confrontarsi continuamente e questo non è per nulla facile quando i servizi si trovano in luoghi distinti. Infine, sarebbe forse opportuno partire da un target più circoscritto, più idoneo a una presa in carico integrata.
L’intero inserto “Lotta alla povertà, Cremona docet”, pubblicato da Vita nel mese di marzo, è visibile in allegato.