L’asilo costa troppo? Coinvolgiamo le mamme!

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creato: 06 maggio 2016

TAGS: servizi infanzia

2016, fuga dal nido: le rette sono troppo care e gli italiani, a quanto pare, non se le possono più permettere. Ma in Veneto sono in corso una serie di progetti sperimentali e innovativi. Intervista al direttore della Fondazione Zancan, Tiziano Vecchiato

Le cifre sono impietose, squadernate dalla stampa quotidiana. Le iscrizioni agli asili nido comunali e convenzionati sono in continuo calo: -6% le stime per il 2016, ed è un trend che dura da anni. Per molto tempo abbiamo lanciato strali contro l’assenza di strutture di supporto alla maternità e scopriamo che sono disertate proprio dalle famiglie. Il motivo è semplice e drammatico al tempo stesso: la crisi economica ha impoverito gli italiani e i 311 euro mensili medi di retta sono troppi per molti. Inoltre, la tendenziale rigidità degli orari dei nidi non si accorda con la flessibilità del lavoro, ormai prevalente nel nostro Paese. Morale: solo il 17% dei bambini da 0 a 3 anni frequenta queste scuole (contro il 33% che rappresenta l’obiettivo europeo per il 2020). E al Sud le percentuali sono drammatiche (3,5%).

Per aggirare il problema, un’idea innovativa viene dal Veneto, dove sono partiti tre progetti pilota che prevedono il coinvolgimento delle famiglie nell’offerta di servizi all’infanzia. Detto in altri termini: le mamme (e/o i papà) potranno dare una mano, ciascuno secondo le proprie attitudini e competenze, nelle attività del nido. Tutte le mamme: anche quelle che non avrebbero la possibilità di pagare una retta (ipotetica) di 311 euro al mese. In qualche modo compenseranno con il loro impegno, che sarà valutato economicamente. Chi invece è in grado di versare qualche euro in più per il funzionamento della struttura, potrà farlo liberamente.

La sperimentazione riguarda l’istituto Vendramini di Padova, la scuola dell’infanzia e nido integrato San Gaetano di Bagnoli di Sopra (Pd) e la cooperativa sociale Porto Alegre di Rovigo. Il progetto invece è della Fondazione Cassa di risparmio di Padova e Rovigo (Cariparo), in partnership scientifica con la Fondazione Zancan. Ma si tratta solo del primo, concreto risultato di un lungo lavoro preparatorio affinato all’interno del Forum transatlantico per la prima infanzia (Tfiey), composto da ricercatori ed esperti in materia, americani, italiani e canadesi, e che vede il coinvolgimento anche di altri enti e fondazioni bancarie. Un’ulteriore struttura innovativa è attiva a Torino: si chiama Spazio ZeroSei, è sostenuta dalla Compagnia di San Paolo e proprio lunedì prossimo, 9 maggio, raddoppierà i suoi spazi di piazza della Repubblica. Ne parliamo con il direttore della Fondazione Zancan, il sociologo Tiziano Vecchiato.

Dottor Vecchiato, a che punto è la sperimentazione in Veneto?

È cominciata da circa un mese con l’erogazione del contributo da parte della fondazione bancaria alle tre strutture. Stiamo lavorando assieme per affinare la proposta e poi, con l’autunno, partirà il servizio vero e proprio per i bambini. Ma c’è un altro aspetto molto interessante: presto altri nidi innovativi saranno avviati in diverse parti del Paese. Si è appena chiuso, infatti, il bando “Infanzia, prima”, promosso da Compagnia di San Paolo, Cariplo, Fondazione con il Sud e Cariparo per realizzare strutture di questo genere in tutto lo Stivale. Sono state presentate alcune centinaia di progetti: ne saranno selezionati, in una prima scrematura, 15-20 e alla fine una decina saranno ammessi al finanziamento. La partita dovrebbe chiudersi a settembre. Siamo molto soddisfatti: in quelle idee abbiamo visto il meglio dell’Italia.

E lo Spazio ZeroSei di Torino?

Non è un nido vero e proprio, ma uno struttura che offre servizi a scuole, asili, famiglie, dove i bambini in quella fascia d’età, appunto, possono svolgere molte attività e laboratori. E i genitori partecipano in ragione delle loro necessità e dell’interesse alle proposte del giorno.

In questo periodo sono in programma incontri di massaggio materno infantile, rivolti ovviamente alle mamme e ai papà, e di cultura indiana spiegata ai bambini.

Il concetto di fondo, però, è lo stesso: la famiglia partecipa, se può, versando 3 euro. Ma anche se non li ha, è possibile che riesca comunque a entrare nello Spazio ZeroSei. Magari perché un’altra famiglia ha versato 6 euro… È l’idea del caffè che si lascia già pagato al bar per gli amici. Tutti prendono parte al progetto. Tutti ne sono coinvolti, in forma diversa, secondo quello che possono dare.

Un’idea che, applicata su scala ampia, crea comunità.

Io non l’ho detto. Però sì, sarebbe bello che, alla fine del percorso, all’attivo potessimo vantare anche questo risultato.

Come vi è venuta l’idea di coinvolgere le famiglie nelle attività dei nidi?

Nei servizi finanziari, o assicurativi, c’è chi produce e chi compra. Il rapporto è molto chiaro. Ma questa non è una logica che può essere applicata alla prima infanzia. Come posso offrire un servizio alle persone – perché è di questo che stiamo parlando – senza coinvolgerle? E invece riusciamo a proporre solo filiere produttive schematiche, bloccate su orari fissi. Poi non stupiamoci se il modello non funziona. Se voglio che molti bambini frequentino il nido, anche quelli che vivono in un nucleo a basso reddito, devo coinvolgere i genitori. Costruiamo assieme il servizio. Mi pare sia un approccio più umano, dunque più educativo, che punta alla condivisione piena delle responsabilità.

Ognuno è chiamato a contribuire con il suo lavoro, insomma.

Non soltanto con il lavoro: con quello che può dare. Lavoro, conoscenze, tempo. Ci sarà chi aiuta le cuoche, chi le maestre. Chi svolge qualche commissione, chi stappa un lavandino. Questa attività – attenzione – non deve essere considerata mero corrispettivo della retta che non riesce a pagare: altrimenti continuiamo a riprodurre una logica di mercato che crea disuguaglianze, ricchi da una parte e poveri dall’altra. Però sarà valutata, valorizzata, avrà comunque un suo peso economico. Per capirci, diciamo che varrà un euro all’ora.

E contribuirà ad abbassare l’importo della retta. Avete fatto una stima di quanto pagheranno le famiglie? Resteranno sotto la media nazionale di 311 euro?

Certo. Abbiamo fatto le nostre proiezioni, molto dipenderà dal costo dei fattori produttivi. Ma se la sede, per ipotesi, viene messa a disposizione gratuitamente dalla Fondazione bancaria, se il Comune offre parte della forza lavoro, se i genitori contribuiscono con il loro impegno, a parità di uscite potrò accogliere al nido, per esempio, un 30-40% di bambini in più, che diversamente non avrebbero potuto frequentare. Banche e Fondazioni cofinanzieranno l’avvio del progetto: nelle esperienze già in atto in Veneto, per esempio, ci siamo impegnati ad accompagnare le strutture per due anni. Poi faremo le nostre valutazioni, vedremo se il valore creato con il coinvolgimento di tutti è stato reinvestito efficacemente. E non parlo soltanto del servizio educativo tout-court, ma della creazione di un contesto di co-responsabilità.

Di una comunità, appunto. È un’idea di welfare allargato e inclusivo che è innovativo per noi, ma viene praticato da tempo in Africa. Faccio un esempio: nella missione di Butare, in Rwanda, è attivo un asilo che segue 200 bambini fra i 3 e i 6 anni, gestito da suore, le Figlie del Divino Zelo, e cofinanziato da un’associazione nonprofit genovese, Komera Rwanda. Le famiglie versano una “retta” simbolica, pari a un euro all’anno. E i genitori che non hanno le possibilità di pagare contribuiscono al servizio: c’è chi pela patate, chi cucina, chi spazza il cortile…

(Vecchiato ride) In effetti è così. Evidentemente, laggiù il welfare-generativo, come amiamo definirlo qui, è realtà da tempo. Ma qui, ormai, abbiamo confuso il processo con il prodotto, la forma con la sostanza. Ma le pare possibile che per festeggiare al nido il compleanno del suo bambino una mamma non possa portare una torta realizzata con le sue mani, a casa? Superiori questioni di carattere igienico lo impediscono. Suvvia…

Però questo potrebbe essere il lato debole della vostra proposta. Come conciliare le norme in materia di igiene, per esempio, o anche di sicurezza, con la presenza dei genitori all’interno del nido? La gabbia non è troppo stretta?

Dovremo fare molta attenzione agli aspetti normativi, ne siamo consapevoli. Del resto, a questo servono le sperimentazioni. Dopodiché, queste mamme e questi papà che all’interno di una struttura educativa sono costretti a sottostare a tanti impedimenti, e che a un chilometro di distanza, nelle loro case, riacquisiscono in pieno la loro sacrosanta funzione educativa, non rappresentano forse un paradosso? Non mancheranno i problemi, ne sono certo. Ma se vogliamo fare davvero welfare inclusivo, in grado cioè di accogliere tutti, indipendentemente dal censo, non abbiamo altra scelta.

 Testo di Fulvio Bertamini pubblicato su www.quimamme.it

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