1.

Settimana internazionale della Fondazione Zancan sui servizi per l’infanzia e la famiglia 

La prima settimana di Giugno a Malosco si sono incontrati esperti da 19 paesi, provenienti da tutti i continenti, 27 università e 3 centri di studio. Una prima unità di lavoro è stata dedicata al Comitato scientifico di EUSARF (European Scientific Association on Residential & Family Care for Children and Adolescents, www.eusarf.com) in preparazione della prossima conferenza internazionale sui servizi per l’infanzia e la famiglia (si svolgerà ad Oviedo a settembre 2016) e di altri appuntamenti internazionali in agenda nei prossimi tre anni. Sono poi stati condivisi i risultati di ricerche in corso, focalizzate sui servizi per l’infanzia e la famiglia, la valutazione delle politiche, le soluzioni per ripensare i servizi residenziali e per sostenere le responsabilità genitoriali. Le indicazioni emerse dal confronto richiedono scelte coraggiose necessarie per innovare le pratiche tradizionali, superare gli approcci ideologici, archiviare le prassi autoreferenziali, basate su impostazioni culturali senza riscontri di efficacia. Si è trattato di un concentrato di potenzialità per affrontare problemi che la comunità scientifica declina in diverse culture e in diversi sistemi di welfare: in nord America, Europa, Medio Oriente, Cina, Australia.

A fronte della ricchezza delle esperienze sono emerse possibilità di affrontare i problemi, dopo che la crisi li ha amplificati, ripensando gli interventi domiciliari, diurni e residenziali, ripensando le relazioni tra operatori e fruitori dei servizi, con capacità di guardare oltre il breve periodo. Le possibilità di misurare il rapporto tra costi ed efficacia, l’impatto sociale, il valore sociale generato sono apparse a tutti una sfida da condividere.

Sono stati apprezzati i risultati conseguiti dalla Fondazione Zancan con lo studio longitudinale Crescere (www.crescerebene.org), con le valutazioni di efficacia multicentriche rese possibili della piattaforma PersonaLAB (www.personalab.org). Particolare attenzione è stata dedicata alle soluzioni di welfare generativo, in particolare con riferimento alla valutazione di impatto sociale dei servizi per l’infanzia (www.welfaregenerativo.it).

È poi seguito il seminario annuale della International Association for Outcome-based Evaluation and Research on Family and Children’s Services sul tema «Exploring the connections between evaluating outcomes and evaluating social impact». In questo caso esperti provenienti da 13 paesi del Nord America, Europa, Asia, Medio Oriente e Australia hanno approfondito il tema della misurazione dell’impatto sociale esplorando diverse metodologie per realizzarlo. 

È un tema che interessa da vicino le  istituzioni messe a dura prova dai rischi del welfare degenerativo. Interessa in particolare il privato sociale e le organizzazioni di advocacy dopo che i loro progetti sono sottoposti a valutazioni di rendimento di quanto hanno prodotto in termini monetari e sociali. È necessario definire metriche condivise  e su questo si concentreranno le collaborazioni in corso.

2.

Infanzia e politiche multiculturali

La percentuale di residenti stranieri (intesa come popolazione residente con cittadinanza non italiana) sul totale dei residenti in Italia, al 1 gennaio 2014, era pari all’8,1%. Varia in misura significativa lungo due dimensioni: geografica e anagrafica. Sul piano territoriale, l'incidenza della popolazione straniera è nettamente superiore nelle regioni del Centro-Nord. Sul piano anagrafico, la percentuale di «stranieri» è superiore alla media tra le fasce più giovani della popolazione. In particolare, considerando i minorenni (0-17enni) l’incidenza a livello nazionale è pari al 10,7%, percentuale che cresce al 13,9% tra i bambini di età 0-5 anni e aumenta ulteriormente (al 14,8%) tra i bambini di età inferiore ai 3 anni. Tra i bambini con meno di 6 anni, l’incidenza dei residenti con cittadinanza straniera è massima (oltre un bambino su cinque) in Emilia-Romagna (22,3%), Lombardia (20,8%) e Veneto (20,2%). Nell’arco del decennio (2004-2014), la quota di residenti stranieri è andata aumentando ovunque, di quasi 5 punti percentuali a livello medio nazionale. Tra i bambini con meno di 6 anni, l’incidenza è aumentata di 8,3 punti percentuali (di 8,6 tra i più piccoli di età 0-2 anni), con picchi di incremento oltre i 10 punti percentuali in Emilia-Romagna (+11,8 punti), Liguria (+11,3), Lombardia (+11,1), Veneto (+11) e Piemonte (+10,6).

È con questi numeri che si è aperto il sesto seminario del progetto Tfiey Transatlantic Forum on Inclusive Early Years dedicato al tema «Multilinguismo e sviluppo delle identità culturali nella prima infanzia» (Reggio Emilia, 25-26 maggio), ospite del Centro Loris Malaguzzi-Reggio Children e organizzato dalla Compagnia di San Paolo in collaborazione con Fondazione Zancan e le altre fondazioni coinvolte nel progetto: Fondazione Cariplo, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e Fondazione CON IL SUD.

Gli esperti si sono confrontati su: vantaggi e svantaggi degli attuali modelli di educazione; strategie di multilinguismo e/o prassi per promuovere la cultura, l’identità e l’integrazione; politiche e risorse necessarie per supportare lo sviluppo dell’identità multiculturale nei bambini e nelle famiglie; formazione dei professionisti che lavorano con i bambini di diverse culture e dei policy makers per la costruzione di un'educazione inclusiva; individuazione di strategie inclusive per migliorare i servizi per i bambini, in particolare quelli provenienti da famiglie migranti e a basso reddito.

Le analisi della Fondazione Zancan hanno mostrato che l’aumento della spesa sociale non è correlato all’aumento della popolazione immigrata ma ai bisogni dell’intera popolazione. In particolare le politiche multiculturali non influiscono sull’aumento della spesa e, anzi, la rendono produttiva in chiave futura. La regione che ha registrato l’aumento più significativo della spesa sociale pro capite (la Sardegna), ha avuto il minore incremento di popolazione immigrata, e risulta avere una propensione medio-bassa all’adozione di politiche multiculturali ; la Provincia Autonoma di Bolzano, che ha il più alto indice di propensione all’adozione di politiche multiculturali e un discreto aumento della popolazione immigrata, ha avuto il minor incremento di spesa sociale, con tassi positivi di sviluppo.

I risultati del seminario saranno portati al forum internazionale previsto a luglio 2015 a Washington. 

3.

Il nuovo Isee? Amplia le disuguaglianze

L’intervista di Sara De Carli a Tiziano Vecchiato su Vita.

Tiziano Vecchiato dirige la Fondazione Emanuela Zancan. Più volte ha accusato il welfare italiano di essere un sistema «dissipativo», che «consuma risorse in modo irresponsabile», «senza verifiche di rendimento». Rispetto al nuovo Isee la sua è una bocciatura.

Perché?

Innanzitutto l’Isee è un esempio emblematico della lentezza dei processi burocratici dell’Italia. L’Isee venne introdotto nel 1998, e non ha mai avuto pieno compimento in mancanza di alcuni regolamenti attuativi. Dopo 13 anni, viene lanciata la riforma (Decreto «Salva Italia», nel 2011), che trova attuazione dopo due anni, a fine 2013 con un Dpcm, per entrare a regime a gennaio 2015, senza che molti Comuni abbiano però ancora adeguato i regolamenti. Se l’iter è così lungo su un tema così delicato, che riguarda così tante famiglie, vuol dire che le istituzioni sono fuori dal tempo e questo è un problema che va affrontato alla fonte.

E dei dati presentati dal Ministero che dice?

Il Ministero parla di «Tre mesi di nuovo Isee. Prime evidenze», ma quel documento non contiene evidenze. Ci sono soltanto indicazioni ricavate da analisi condotte sul 2% del totale delle DSU presentate nel primo trimestre 2015, peraltro – come dichiarato dallo stesso Ministero – non rappresentative perché mancanti di DSU che vengono presentate in altri periodi dell’anno (per nidi, scuola, Università ecc.). Inoltre il confronto tra vecchio e nuovo Isee è soltanto teorico in quanto non tiene in considerazione le differenze locali di applicazione del vecchio Isee rispetto alle regole nazionali previgenti.

La critica più dura al nuovo strumento viene dalle famiglie in cui c’è una persona con disabilità, che si trovano a dover contribuire in maniera più elevata ai servizi. Il Ministero al contrario dice che i nuclei dove è presente una persona con disabilità sono particolarmente tutelati dal nuovo Isee e che anzi risultano avvantaggiati rispetto al passato. Come la mettiamo?

Rischia di essere un dialogo fra sordi, perché partono da due piani differenti. Il fatto è che l’Isee entra nel merito della capacità economica delle famiglie, ma non della valutazione del bisogno. Faccio un esempio: prendiamo due famiglie, una con una disabilità molto grave e impegnativa e una con una disabilità più leggera. Se hanno lo stesso Isee il loro concorso economico ai servizi potrebbe essere uguale, anche se il loro bisogno non lo è. Il Ministero ragiona sulla capacità contributiva, le associazioni sul bisogno: è evidente che bisogna interfacciare le due cose, altrimenti lo strumento Isee rischia in realtà di ampliare le disuguaglianze.

Deve farlo l’Isee?

L’Isee oltre alla compartecipazione regola anche la possibilità di accedere o meno a determinati servizi sociali e sociosanitari ma non dovrebbe essere così, perché l’accesso e l’intensità di risposta è condizionato dai bisogni. L’Isee dovrebbe essere uno strumento da utilizzare soltanto per definire il livello di compartecipazione economica. Serve quindi un altro strumento che porti equità nell’accesso alle risposte ai bisogni. Questa equità oggi l’Isee non la garantisce, l’Isee garantisce solo l’equità nella valutazione della situazione economica.

Sui territori cosa state osservando?

In alcuni territori sperimentali che stiamo osservando, chi ha un Isee più alto e vede che dall’offerta pubblica non ha la stessa risposta di prima o per la stessa risposta deve pagare di più, lascia il pubblico e si rivolge al privato. Tanti la DSU nemmeno più la presentano. In questo modo però si allarga la forbice tra chi può trovare una risposta nel privato e chi la deve trovare nel welfare pubblico, con un rischio di effetto perverso e anche di sostenibilità per il pubblico, perché chi potrebbe contribuire maggiormente se ne va altrove.

4.

Un mandorlo in memoria di Mons Pasini e Mons Nervo

Nell’ambito della XX edizione della Festa del Volontariato Sociale «Prendi per mano il tuo volto» si è svolta la cerimonia di messa a dimora di una pianta di mandorlo a ricordo dei fondatori del volontariato italiano: Maria Eletta Martini, Luciano Tavazza, Pietro Scoppola, Achille Ardigó, Giuseppe Pasini e Giovanni Nervo.

La cerimonia si è svolta nel Frutteto biblico della cooperativa sociale Arcobaleno 86 a Feltre lo scorso 7 giugno. La piantumazione è avvenuta, simbolicamente, anche con un mucchietto di terra proveniente dal centro studi di Malosco (Tn) della Fondazione Emanuela Zancan.

Don Giuseppe e don Giovanni hanno dedicato la loro vita e il loro impegno ad approfondire e diffondere i valori del volontariato. Siamo quindi particolarmente contenti di questa iniziativa che rende omaggio a loro e a tutti i fondatori del volontariato italiano. Ed è motivo di orgoglio poter contribuire simbolicamente con un po' di terra di Malosco, luogo prezioso di incontro, confronto, dibattito, da cui sono nati grandi contributi che hanno arricchito negli anni l'intera società.

5.

L’azione generativa degli infermieri nel prendersi cura

Il Congresso della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi si svolge ogni tre anni ed è, in Italia, l’evento congressuale più importante e prestigioso per il nursing. Si presentano alcuni progetti selezionati di ricerca e sperimentazione di buone pratiche cliniche. Il lavoro che il gruppo di ricerca infermieristica

della Fondazione E. Zancan ha condotto «nel prendersi cura della persona in una logica generativa» ha avuto il privilegio di essere presentato al XVII congresso che si è svolto a Roma dal 5 al 7 marzo 2015, ed è stato proposto ad una platea di circa 3 mila infermieri. L’abstract della relazione presentata al congresso dal coordinatore del gruppo di ricerca Daniele Salmaso è ora visibile nel nostro sito www.fondazionezancan.it.

6.

Attenzione ai costi amministrativi. Per il Reis valgono 2 miliardi

Dalla rubrica «Welfarismi» di Tiziano Vecchiato sul mensile Vita di maggio

Reddito

Garantire un reddito alle persone povere è l'obiettivo ricorrente dei sistemi tradizionali di welfare. Tecnicamente è «assistenza che assiste» ma non libera dal bisogno. L'approccio è «raccogliere» (R1) e «redistribuire» (R2), con diverse soluzioni di raccolta delle risorse necessarie (fiscali, mutualistiche, di mercato, a seconda dei Paesi). Ma gli approcci da «R1 e R2» stanno mostrando i loro limiti di sostenibilità e di insufficiente riduzione delle disuguaglianze. L'Ocse ci sta dicendo da anni che siamo fanalini di coda in Europa nella capacità di ridurre la povertà dopo i trasferimenti. Sono «redditi garantiti» con contributi e indennità assistenziali. Nel nostro Paese lo Stato, le Regioni, gli enti locali li erogano senza chiedere «concorso al risultato». Sono decine, con diversa intensità, garanzia, durata. Ma il dibattito attuale non è interessato a sostituire queste politiche assistenzialistiche e passive. Rivendica, chiede, sostiene che l'Italia è in Europa, ma senza «reddito garantito». Dimentica che il nostro Paese distribuisce circa 45 miliardi ogni anno in assistenza economica, al netto degli ammortizzatori sociali (circa altri 20 miliardi annui per affrontare la crisi).

Sindrome Adw

La sindrome da analfabetismo di welfare (Adw) è in agguato. Chiara Saraceno in più occasioni ha cercato di fare chiarezza su «di che cosa stiamo parlando». Agli addetti ai lavori (politici, esperti, dirigenti, operatori...) non manca la creatività: Reddito Garantito, Reddito di Cittadinanza, Reis, Sia, Social Card (vecchia e nuova), Rmi, Rui ..., affrontano nello stesso modo lo stesso problema. Aggiungono trasferimenti, senza eliminare duplicazioni e ingiustizie causate da redditi garantiti per diritto anche a chi non ne ha bisogno. Chi dice che le condizioni di oggi sono diverse da quelle di ieri non ha memoria, anzi manca di rispetto ai professionisti che da anni lottano con le persone perché escano dalla povertà. Livia Turco quindici anni fa ha voluto una legge (la 328/2000) non assistenzialista, che valorizzava quanti nel pubblico e nel privato, «chiedono agli aiutati di aiutarsi ogni volta che li aiutano». In questa logica aveva previsto la revisione del sistema dei trasferimenti. Se ci fosse stata, ora non avremmo l'Adw. Non vivremmo in una cosi grave recessione di welfare e di umanità, affidandoci a pratiche settoriali. Che non alimentano la speranza nel poter prendersi cura dei bisogni umani fondamentali.

Bonificare e investire

Vanno quindi contrastate le «selfìe-verità», costruite a propria immagine per sostenere le proprie tesi. Dicono mezze verità e non condizionano le proposte alla «bonifica preventiva di tutti i redditi garantiti», senza ipocrisie, facendo bene i conti, anche dei costi necessari per erogarli. Il caso della Regione Veneto (LR 3/2013) ci ha dato la possibilità di stimare quanto l'infrastruttura amministrativa incida sul valore trasferito: prudenzialmente si tratta del 34%. Se ad esempio lo applichiamo al Reis, servirebbero più di 2 miliardi in aggiunta agli oltre 7 miliardi stimati. È bene saperlo perché le poche risorse professionali dei Comuni non possono essere sottratte alle pratiche necessarie (in primis la «tutela dei minori») e destinate ad «amministrare una misura». Si creerebbe un vuoto colossale nella capacità di tutelare i soggetti deboli, negando i loro bisogni e diritti. Il nuovo welfare deve iniziare con «servizi reali, integrati da trasferimenti», insieme generativi di capacità e risorse. Le risposte centralizzate sono assistenziali, passive, incapaci di condivisione di responsabilità sugli esiti. Sono prestazionismo che ci condanna agli ultimi posti nella lotta contro la povertà: diamo ma in modo irresponsabile. Chi verifica chi? Chi verifica come? è una sconfitta per tutti. Da una profonda revisione della spesa assistenziale - invece - potremmo avere non poche sorprese, con pratiche generative, capaci di rendimento e di impatto sociale oggi impensabili. 

7.

La povertà dei bambini

Come possiamo definire, concettualizzare e misurare la povertà? Che relazione c’è tra povertà e diritti dei bambini? Che impatto ha la povertà sulla vita delle persone?

A queste domande risponde il volume «Theoretical and empirical insights into child and family poverty», edito da Springer e pubbicato nell’ambito della prestigiosa collana «Children’s Well-Being: Indicators and research». I curatori Elizabeth Fernandez, Anat Zeira, Tiziano Vecchiato e Cinzia Canali, propongono contributi di esperti di fama internazionale sul tema della povertà nell’infanzia e nell’adolescenza provenienti da molti paesi: Australia, Brasile, Germania, Hong Kong, Ungheria, Italia, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti.

Come scrive nella prefazione David Gordon del  Townsend Centre for International Poverty research della Università di Bristol «questa pubblicazione è una delle poche raccolte che considerano la povertà dal punto di vista dei diritti dei bambini, considerando esperienze da paesi ‘poveri’ e ‘ricchi’. Molti studi 

distinguono in modo ingiustificato tra povertà minorile nei paesi 'ricchi' e 'poveri’, indicando implicitamente che i paesi ‘ricchi’ hanno poco da imparare dai risultati positivi delle politiche di contrasto alla povertà nei paesi ‘poveri’, o viceversa».

Il volume è diviso in 3 sezioni. La prima sollecita un dibattito sulla misurazione, le definizioni e le diverse posizioni teoriche. La seconda tratta il tema dell’impatto della povertà su aspetti specifici della vita dei bambini e delle famiglie. La terza sezione si concentra sui programmi e le politiche di intervento e sull’impatto della povertà, per indagarle e valutarle con casi di studio illustrando la diversità degli approcci e dei risultati ottenuti.

Il volume è dedicato al prof. Anthony N. Maluccio, che ha contribuito a fondare ed è presidente onorario della International Association for Outcome-Based Evaluation and Research in Family and Children’s Services (IaOBERfcs).

La pubblicazione è frutto della collaborazione tra due società scientifiche la IaOBERfcs e la Isci (International Society for Child Indicators). 

8.

Unire idee esperienze e risorse per un nuovo welfare generativo

«Unire le idee, le esperienze e le risorse per un nuovo welfare generativo». È questo il tema del meeting triveneto organizzato da Banca Prossima, che si è svolto martedì 16 giugno a Monteortone (Pd). L’incontro è stato organizzato all’interno di «Innovation Club», iniziativa che ha l’obiettivo di conoscere, interagire e sostenere il mondo dell’associazionismo, della cooperazione, del terzo settore locali.

Al centro del meeting le potenzialità del welfare generativo sono state approfondite dal direttore della Fondazione Emanuela Zancan di Padova, Tiziano Vecchiato. Il modello di welfare generativo proposto dalla Fondazione Zancan è incentrato sul passaggio della logica del costo a quella dell’investimento. Privilegia l’efficacia degli interventi a sostegno delle persone, rendendo il più possibile responsabili gli aiutati. In sostanza, dice: non posso aiutarti senza di te. È una scelta strategica, necessaria e urgente per non essere sopraffatti dalla domanda crescente di welfare, senza sapere cosa rispondere, senza ridursi a considerare i «diritti sociali» una minaccia e non, piuttosto, un motore moltiplicativo delle capacità. È un nuovo sistema che mette al centro le persone, le loro capacità e potenzialità, responsabilizzandole. È nuova cittadinanza che fa del governo dei diritti e dei doveri un’opzione strategica e generativa, per rispondere alle rinnovate esigenze di una società in profonda crisi e bisognosa di segnali di speranza, per attivare un nuovo scenario di welfare su cui investire e credere.

9.

Il mare è fatto di gocce

Il mare è fatto di gocce (Edizioni Dehoniane Bologna– EDB), su testi di Giovanni Nervo, è il 14° audiolibro della Collana PhonoStorie, a cura di Caritas Italiana e Rete Europea Risorse Umane.

L’audiolibro è stato presentato mercoledì 24 giugno 2015 a Roma.

Attraverso la scelta di alcuni tra i suoi testi più significativi legati da un intimo filo conduttore, l’ascoltatore viene condotto in un percorso a 360° attorno alla figura di Giovanni Nervo, il «padre» di Caritas Italiana.

«Saper fiorire dove Dio ci ha seminati». Era una delle esortazioni che amava ripetere e la sua vita ne è stata un’esemplare realizzazione, a cominciare dall’impegno nella Resistenza e nella ricostruzione del dopoguerra dove profuse il suo spirito di educatore.

Chiamato nel 1971 da Paolo VI a fondare Caritas Italiana e in tutte le diocesi d’Italia, si è rivelato uomo di altissima statura morale. Ha amato non a parole e con la bocca, ma nei fatti e nella verità. L’eredità più preziosa che ci ha lasciato è la sua stessa vita, è il suo luminoso esempio.

Alcuni tra i suoi moltissimi scritti e discorsi sono raccolti in questo audiolibro e letti dagli artisti: Luciana Littizzetto, Simonetta Solder, Giorgio Marchesi; dal Fondatore di Libera, Luigi Ciotti; dai delegati regionali di Caritas Italiana: Pierluigi Dovis, Vincenzo Cosentino, Marco Pagniello.

«Il problema più profondo del nostro tempo è un problema religioso: molti uomini hanno perduto il centro su cui costruire la propria vita e la società e finiscono col fare se stessi centro di ogni cosa, cioè col porsi al posto di Dio, con la conseguenza che non sanno più che cosa sono, da dove vengono, dove vanno, e non sanno più che cosa è bene e che cosa è male perchè sono loro a deciderlo sulla base del loro interesse e delle loro passioni» Giovanni Nervo

10.

Infanzia: diritti dei minori ancora negati tra povertà, carenza di servizi e mancanza di coordinamento

In Italia, 1 bambino su 7 nasce e cresce in condizioni di povertà assoluta, 1 su 20 assiste a violenza domestica e 1 su 100 è vittima di maltrattamenti. 1 su 20 vive in aree inquinate e a rischio di mortalità. 1 su 50 soffre di una condizione che comporterà una disabilità significativa all’età dell’ingresso nella scuola primaria, 1 su 500 vive in strutture di accoglienza. Più di 8 bambini su 10 non possono usufruire di servizi socio-educativi nei primi tre anni di vita e 1 su 10 nell’età compresa tra i 3 e i 5 anni. Nel 2013 in Italia sono andati al nido solo 218.412 bambini, pari al 13,5% della popolazione sotto i tre anni. E la situazione nel Mezzogiorno è ancora più grave, se si considera che tutte le regioni del Sud si collocano sotto la media nazionale, come la Sicilia con appena il 5,6% dei bambini che ha avuto accesso al nido; la Puglia con il 4,4%; la Campania con il 2,7% e la Calabria con il 2,1%.

Questi i principali dati che emergono dal Rapporto di monitoraggio sull’attuazione della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza nel nostro Paese, giunto alla sua ottava edizione, alla cui redazione hanno contribuito 124 operatori delle 90 associazioni del Gruppo CRC - tra le quali la Fondazione Zancan - e presentato ieri alla presenza del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti.

Il Rapporto, evidenzia che, a vent’anni esatti dal primo Rapporto sullo stato di attuazione della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (CRC), inviato dall’Italia al Comitato ONU per la CRC, «il sistema organico di politiche per l’infanzia» su cui il nostro paese si era impegnato con la ratifica della Convenzione non è stato realizzato. Le associazioni auspicano che l’adozione del nuovo Piano Infanzia, con priorità e azioni ben definite e supportate da un adeguato impegno economico, possa essere il primo passo per rimettere al centro dell’agenda politica le misure per la tutela per l’infanzia. 

11.

Potenziali dell’integrazione sociosanitaria con approcci di welfare generativo

L’Azienda Usl di Teramo ha promosso un corso sulle nuove frontiere dell’integrazione sociosanitaria nella programmazione regionale (19 giugno).

Tiziano Vecchiato, ha affrontato il tema «Potenziali dell’integrazione sociosanitaria con approcci di welfare generativo». Le frontiere dell’integrazione richiedono di rendere trasparente l’esercizio delle responsabilità ai diversi livelli.

Solo una capacità di cura riconfigurata in condizioni di continuità della presa in carico può affrontare questa sfida. È un compito interno all’integrazione. Deve tener conto dell’utilizzo razionale dei fattori produttivi (professionali e non professionali) e della gestione unitaria dei legami tra input, output e outcome, considerando che i loro driver sono i risultati attesi (gli esiti) e non le prestazioni erogabili. Le prestazioni possono essere finalizzate all’outcome, cercando di non disperderle (ad es. nelle prescrizioni). All’interno di questa logica rientra l’idea dell’integrazione tra sistemi di responsabilità. Significa integrare componenti sanitarie e sociali e integrare capacità professionali e non professionali. Queste ultime sono messe a disposizione dalle capacità degli interessati e di quanti nel loro spazio di vita sono disposti a concorrere al risultato e all’esito ottimale.

Il processo di integrazione non coinvolge solamente i professionisti ma richiede anche un forte apporto da parte dei caregiver non professionali (in particolare familiari) per contribuire al raggiungimento degli outcome. Questa prospettiva richiede capacità tecniche di riconoscimento delle «risorse non professionali» che partecipano e concorrono ai risultati di costo/efficacia.  

12.

Buona sanità con meno risorse: una sfida possibile

«Buona sanità con meno risorse: una sfida possibile. Dalla politica dei tagli e degli esuberi alla costruzione di una sanità di valore» è il titolo del seminario che si è svolto a Trento il 23 giugno scorso. Si è riflettuto su come costruire una sanità migliore e come potenziare l’integrazione sociosanitaria, anche in tempi di crisi. Serve una nuova visione multiprofessionale della salute e della malattia per un’evoluzione positiva di un sistema complesso qual è quello sociosanitario.

Nell’ambito del seminario Tiziano Vecchiato ha parlato di «Risorse, appropriatezza e potenzialità nell’assistenza sociale».

L’azione professionale deve «aiutare con cura e rispetto», molto più di quanto viene fatto tradizionalmente. È necessario rivalutare le azioni professionali in un’ottica di welfare generativo. La centralità della persona non è solo opzione etica, è anche condizione tecnica perchè possano avvenire incontri di capacità e responsabilità. Senza di essi si resta nel welfare prestazionistico e degenerativo ben lontano quindi dalle potenzialità proprie della scienza del prendersi cura. È necessaria un’equilibrata integrazione fra problemi e soluzioni, in dialogo continuo tra teoria e prassi per facilitare nuovo sapere. I potenziali di innovazione sono notevoli, soprattutto oggi, con un sapere professionale originale che fa leva nell’incontro delle capacità e responsabilità per potenziare gli esiti e il concorso al risultato del curare e prendersi cura.

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