1.

Generazione dei sempre connessi: i dati del progetto Crescere a Pinerolo

Passano il loro tempo libero con gli amici, amano fare sport e trascorrono molto tempo «connessi». La scuola piace abbastanza e hanno un buon rapporto con i genitori. Sono i dodicenni di Pinerolo, secondo quanto emerge dal progetto «Crescere a Pinerolo», i cui risultati sono stati presentati venerdì 13 novembre, nel corso del convegno I ragazzi di Pinerolo si raccontano, ospitato al Castello di Miradolo (a San Secondo di Pinerolo). L'indagine è realizzata dalla Fondazione Emanuela Zancan, grazie al contributo della Fondazione Cosso, in collaborazione con il Comune di Pinerolo, le scuole secondarie di primo grado «Filippo Brignone» e  «Lidia Poet».

Lo studio ha coinvolto 212 ragazzi che frequentano la scuola secondaria di primo grado. Sono state coinvolte 12 classi, grazie alla disponibilità di insegnanti e genitori. L'obiettivo dello studio è di capire come crescono i ragazzi, cosa fanno, cosa pensano, come si relazionano con i pari e in famiglia, se sono felici e quali sono le loro aspettative per il futuro. Il questionario era auto-compilato, così che i ragazzi fossero completamente liberi di esprimersi.

Il tempo libero. La compagnia preferita nel tempo libero sono gli amici. 9 ragazzi su 10 praticano sport: giocano a calcio, pallavolo, basket, tennis, nuotano, vanno in bici ecc. Il 61% lo fa a livello agonistico e si allena tutte le settimane. 

Pochi fanno attività di volontariato: si arriva al 25% considerando anche chi lo fa qualche volta all’anno. Aiutano i nonni o altre persone anziane, puliscono i sentieri, donano vestiti, giochi e denaro per le persone che hanno bisogno, fanno volontariato in canile, sono scout ecc. Leggere è un’attività abbastanza frequente: 1 su 3 legge tutti i giorni, soprattutto libri, ma anche giornali, riviste e fumetti. La generazione dei sempre connessi.

Quasi tutti i ragazzi hanno una televisione in casa (99%) e 6 su 10 la guardano tutti i giorni, in media 1 ora e 50 minuti al giorno. Quasi tutti hanno un computer in casa (97%) e possono utilizzarlo. Più di un quarto usa il computer/tablet tutti i giorni (27%) , in media circa un’ora e 10 minuti al giorno. Tre ragazzi su 4 (76%) possiedono un cellulare/smartphone per il proprio uso personale.  A 12 anni metà dei ragazzi si collega a internet tutti i giorni (55%). Rimangono connessi in media quasi 3 ore al giorno. Nella maggior parte dei casi sono da soli, più raramente usano internet con i genitori, gli amici, i fratelli o altri parenti. Ascoltano musica e chattano con gli amici, giocano ai videogiochi, fanno ricerche per la scuola, guardano film e video musicali, scaricano programmi e giochi, usano social network.

La scuola. A 12 anni la scuola piace a 6 ragazzi su 10 (piace molto a 2 su 10, abbastanza a 4 su 10). Per il 13%, invece, la scuola non piace per niente. Per la maggior parte la scuola è fonte di stress: il 16% si sente molto stressato, il 29% abbastanza, il 42% un poco. L’istruzione, secondo i ragazzi, è molto importante per trovare lavoro in futuro: 8 su 10 pensano sia molto importante, il 16% abbastanza.

Il bullismo. A 12 anni, 7 ragazzi su 10 dichiarano di aver subito almeno un atto di bullismo negli ultimi 6 mesi. Le forme più frequenti sono di tipo verbale: insulti, offese, prese in giro, bugie e falsità (51%). Più di uno su tre (35%) riferisce di essere stato escluso o ignorato dal gruppo almeno una volta in sei mesi. Il 24% è stato infastidito attraverso il cellulare (cyberbullismo). Soltanto una minoranza riferisce di aver subito violenza fisica e di essere stato colpito, calciato, spinto o rinchiuso (13%). A subire atti di bullismo sono sia maschi sia femmine, italiani e stranieri. Non ci sono differenze nella proporzione con cui dicono di aver ricevuto prepotenze. Il 51% dei ragazzi, d'altro canto, ammette di avere compiuto atti di bullismo. Si tratta soprattutto di offese verbali (insulti, offese, bugie e falsità) o relazionali (ignorare o escludere qualcuno dal gruppo).

Vita in famiglia e dialogo con i genitori. Per 3 ragazzi su 4 (75%) è facile/molto facile parlare con la madre di cose che preoccupano veramente. La relazione con il padre è invece più complicata: per il 42% è difficile/molto difficile. Nella maggior parte dei casi, i ragazzi si sentono supportati e protetti dalla loro famiglia. Sanno che la famiglia cerca di aiutarli (l’81% è d’accordo/molto d’accordo), ricevono il sostegno morale e l’aiuto di cui hanno bisogno (78%), possono contare sulla famiglia quando devono prendere decisioni (78%). L’aspetto più critico è quello del dialogo: il 56% sa di poter parlare dei propri problemi in famiglia, il 29% è incerto (a volte sì a volte no) e il 15% invece non è d’accordo.

Autostima e benessere. In generale, i ragazzi hanno un buon livello di autostima e fiducia nelle proprie capacità. 9 su 10 pensano di essere in grado di fare le cose bene e di valere almeno quanto gli altri. 8 su 10 inoltre hanno un atteggiamento positivo verso se stessi e complessivamente sono soddisfatti di quello che sono. Viceversa, 2 ragazzi su 10 pensano di essere un vero fallimento. 1 su 3 pensa di non avere molto di cui essere fiero. Più della metà vorrebbero avere maggiore rispetto di se stessi. È stato chiesto ai ragazzi quanto sono soddisfatti della loro vita. Le risposte sono state positive: il 68% ha espresso giudizi pienamente positivi, il 23% si colloca in una fascia intermedia, mentre l’8% si dichiara infelice.

Serve tanto ascolto. Abbiamo cercato di farlo, in modo delicato e discreto, e abbiamo percepito l'emozione dei ragazzi nell'essere ascoltati. Questa indagine fornisce un patrimonio di conoscenza che restituiamo alla comunità mettendolo a disposizione dei ragazzi, delle famiglie, delle istituzioni, delle scuole, di tutti coloro che operano per l’infanzia, per farne tesoro.

Siamo lieti della buona accoglienza che l'indagine ha avuto da parte dei ragazzi, delle famiglie, delle istituzioni. È nostra intenzione continuare su questa via per aiutare i ragazzi nella «scoperta» del loro intimo, in un momento in cui l'ambiente esterno e l'organizzazione del «quotidiano» portano spesso a non identificare i veri valori della vita.

2.

Il Trust: oltre la crisi con soluzioni capaci di rigenerare le risorse

Il sistema di welfare e, in particolare, l'assistenza alle persone con disabilità hanno subito, negli anni, profondi cambiamenti: fanno i conti con la sempre più difficile sostenibilità dei servizi e con la minore presenza delle famiglie in qualità di caregiver. Sono problematiche che richiedono, oggi più che mai, una profonda ridefinizione del sistema assistenziale. Di questo si è discusso venerdì 6 novembre nell'ambito del convegno «(In welfare) we Trust», promosso dal Consorzio di cooperative sociali Ccs, insieme con la Fondazione F3 «Famiglia, fiducia, futuro» e La Bottega del Possibile.

Tiziano Vecchiato, ha delineato in questa sede possibili soluzioni di «Trust generativo». Potranno essere sviluppati in alternativa agli approcci assicurativi di Trust che, pur positivi, non garantiscono abbastanza rendimento alle risorse investite. Si tratta in particolare di meglio valorizzare i potenziali messi a disposizione dalle persone e dalle famiglie, così da incentivare altre risposte solidali necessarie per dare fiducia e futuro alle persone che affrontano il «dopo di noi durante noi».

Welfare generativo significa superare i limiti di un sistema di welfare basato sull’assistenzialismo, con soluzioni che comportano un coinvolgimento attivo delle persone e delle famiglie. Significa andare verso diritti realmente sociali, cioè a «dividendo sociale», integrando l’idea di esigibilità dei diritti con quella del loro rendimento personale e sociale.

Ancora una volta, come trent’anni fa, nella costruzione del welfare si devono anteporre gli obiettivi strategici a quelli tecnici, consapevoli che nessun bisogno individuale può trovare risposte sufficienti, senza condivisione sociale del valore e del rendimento delle risorse investite, con soluzioni più solidali.

3.

Legge 328/2000: traguardo importante, ma non attuata, ora si punti sul welfare generativo

 Tiziano Vecchiato ha preso parte alla tavola rotonda «Apriamo il cantiere delle politiche sociali» nel corso del convegno «Idee per il futuro - Per un sistema integrato dei servizi sociali», organizzato dal gruppo Pd alla Camera, commissione affari sociali, per il 15° anniversario della Legge n. 328/2000 (10 novembre 2015).

Il convegno è stato un’occasione importante per aprire un confronto sugli obiettivi raggiunti nel corso degli anni e, al contempo, ha alimentato un dibattito dedicato alla valutazione delle potenzialità dei servizi alla persona in un contesto sociale in continuo cambiamento. Hanno introdotto i lavori Donata Lenzi e Livia Turco, che ha ripercorso la faticosa approvazione della legge (in chiusura di legislatura) senza il tempo necessario per facilitare la sua attuazione.

La Legge 328 rappresenta un traguardo importante nell’ambito dei servizi alla persona. Non è stata attuata come si sarebbe dovuto, anche perché una parte delle regioni non l’ha implementata, come avrebbe dovuto, con proprie norme. Gli anni perduti ci consegnano una prospettiva obbligata: passare a politiche di welfare generativo. Sono prefigurate dall’art. 118 della Costituzione (comma 4) e, per alcuni aspetti, dalla stessa Legge 328 all’articolo 1, comma 6 che impegna le istituzioni a valorizzazione le capacità e potenzialità di ogni persona.

Le trasformazioni sociali e il crescente aumento delle richieste di aiuto rendono urgente il superamento delle pratiche assistenzialistiche. Occorre andare oltre le politiche tradizionali e agire concretamente, investendo, non solo amministrando le risorse a disposizione. Valgono oltre 800 euro pro capite. Si potrebbero utilizzare a rendimento, con tutta l’arte professionale necessaria per moltiplicare i valori a disposizione, con soluzioni di welfare generativo. È possibile «con le persone», valorizzando le capacità e le competenze di tutti, anche degli aiutati.

Un grande ostacolo è l’analfabetismo di welfare. Ragiona per prestazioni, per misure, per diritti senza bisogni, facendo corrispondere ad ogni problema una legge, un fondo, una procedura e perdendo di vista l’insieme. Servono nuovi incontri di responsabilità (pubbliche e private) nei territori, per passare da politiche tradizionali e degenerative, che consumano e non rigenerano le risorse, a politiche di investimento e sviluppo: umano, sociale ed economico.

4.

Dare la priorità ai bambini è il miglior investimento che si poteva fare

Solidarietà tra generazioni?

C’è qualcosa nella legge di stabilità che forse prepara primavera. Le nostre politiche sociali sono vecchie e superate, con alti tassi di assistenzialismo. Dovranno interrogarsi sulla capacità di promuovere equità e giustizia. Danno tanto all’ultima fase della vita e troppo poco alla vita che nasce e cresce. A infanzia e famiglia va solo l’1,2% di Pil (Eurostat 2012, rispetto ad una media UE del 2,4%). Si riduce allo 0,2% del Pil se consideriamo le sole risorse destinate ai servizi per infanzia e famiglia. Ad esempio, per i servizi comunali rivolti ai bambini 0-3 anni, il valore si avvicina allo 0,1% del Pil. Sempre secondo Eurostat, la spesa totale di welfare per gli anziani nel 2012 raggiungeva il 15% del Pil, più di 3 punti percentuali della media europea. Più la vita ha bisogno di crescere, meno generosa è la solidarietà tra generazioni.

Disugualmente poveri

È giusto o sbagliato? Certamente non è equo. Nel 2014 il 10% dei minori italiani si trovava in condizioni di povertà assoluta rispetto al 4,5% degli anziani. I pensionati integrati al minimo, pur disponendo di patrimoni, ricevono assistenza per diritto senza necessariamente averne bisogno, sottraendo da 1 a 2 miliardi di euro (a seconda della soglia di calcolo) ai bambini poveri. La legge di stabilità prova a mettere in discussione questa situazione. Molti dei beneficiari di tutele sociali sono nonni che non danno voce politica ai diritti dei loro nipoti. Il nostro paese sceglie finalmente di lottare contro la povertà dei bambini. È giusto e necessario dare il massimo alla vita che nasce e ha bisogno di crescere bene. Lo facciamo quando portiamo aiuti nel sud del mondo. Ma a casa nostra permane un rischio: «Erode fra noi». Possiamo dirlo insieme con Alfredo Carlo Moro. Ha speso una vita per i diritti incompiuti dell’infanzia. Ha usato questa espressione per denunciare le violenze a danno dei più piccoli. Le istituzioni non ne sono esenti, mentre molti genitori si tolgono il pane di bocca per darlo ai figli. Sono la loro speranza di vita. Perché non fare così anche su scala sociale?

Un futuro da non evitare

L’art. 31 della bozza di legge di stabilità ci prospetta un’inedita attenzione alle famiglie povere con figli, precisando che non si tratta di trasferimenti assistenziali aggiuntivi a quelli esistenti ma di lotta alla povertà. Abbiamo perso 15 anni sul se e come trasferire aiuti economici ai poveri, senza aiutarli ad uscire dalla povertà, con risultati inconsistenti. Nelle previsioni della legge di stabilità ci saranno trasferimenti «bonificati». Se nel 2001 fosse stata attuata la delega «ad emanare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, … un decreto legislativo recante norme per il riordino degli assegni e delle indennità spettanti ai sensi delle leggi …» (Art. 24 L. 328/2000), non avremmo avuto bisogno di ripartire da un passato ancora presente. Se il 2016 sarà un anno di bonifica, nel 2017 forse potremo vedere qualcosa di nuovo: un welfare capace di scelte più giuste e generose verso i più deboli.

Fonte: Rubrica Welfarismi di Tiziano Vecchiato, Vita, novembre 2015.

5.

Il welfare generativo in Valle d’Aosta

La recessione di welfare ha accelerato la necessità di cercare nuove vie per rendere efficace l'aiuto dato alle persone e allo stesso tempo «rigenerare» le risorse impiegate. Per farlo, è necessario smettere di pensare al welfare come a una fonte di costo iniziando a considerarlo un investimento. Concretamente significa abbandonare la tradizionale logica assistenzialistica (un bisogno una misura, un problema una legge, una domanda un trasferimento economico), prevedendo una partecipazione diretta delle persone dicendo loro «non posso aiutarti senza di te». Significa privilegiare l’efficacia dell'aiuto che aiuta rendendo il più possibile responsabili le persone.  È la logica del welfare generativo teorizzata già da alcuni anni dalla Fondazione Emanuela Zancan di Padova, che è stata al centro del seminario «Il welfare generativo», organizzato da Fondazione comunitaria della Valle d'Aosta, Caritas diocesana di Aosta e Università della Valle d'Aosta (12 novembre 2015).

Troppo spesso, ancora, si attivano percorsi di aiuto in cui la persona aiutata si limita a ricevere, utilizzando spesso male le risorse, senza chiederle niente a «corrispettivo sociale», cioè facendo dell'aiuto ricevuto un'opportunità per se stessa e per la propria comunità. Nel momento in cui la persona è chiamata a «compartecipare» ai benefici è molto probabile che l’efficacia dell’intervento sia maggiore. L’attivazione diventa condizione di dignità, di sviluppo di capacità, di produzione di valore, di esperienza di relazione. È la sintassi del welfare generativo: responsabilizzare, rendere, rigenerare.

In questo modo il rendimento dei diritti di welfare non ha più una portata individuale, ma anche sociale. Si tratta di considerare come titolare dei diritti non solo la persona aiutata ma anche la comunità. Garantire i diritti solo all’individuo significa non considerare la loro potenzialità oltre la persona. Il loro raggio di azione è più ampio e i loro esiti devono essere misurabili a vantaggio della persona e della comunità. 

6.

...e a Livorno

La Fondazione Emanuela Zancan, la Scuola S. Anna di Pisa e la Caritas di Livorno avvieranno nei prossimi mesi un progetto di sperimentazione per lo sviluppo di un welfare generativo. L'approccio, teorizzato da anni dalla Fondazione Zancan, sta ottenendo sempre maggiori consensi nel Paese e sono molte le realtà che hanno capito l'importanza di invertire la rotta nel nostro sistema di welfare.

Ormai è evidente, infatti, che il nostro sistema di welfare non riesce a incidere in modo significativo sulla riduzione delle diseguaglianze e dell’incidenza della povertà, pur destinando ingenti risorse. Servono dunque, oggi più che mai, modalità di aiuto in grado di produrre risultati concreti e diretti nelle persone beneficiarie, e che permettano di «rimettere in circolazione» le risorse utilizzate, in un’ottica di rendimento e di rigenerazione della spesa. Questo può avvenire solo attraverso la responsabilizzazione delle persone coinvolte e la messa a rendimento della spesa sociale.

Il progetto, finanziato da Fondazione Livorno, è stato presentato giovedì 19 novembre 2015 nel convegno «Noi, il sociale: da spesa a investimento. Verso un Manifesto del Welfare Generativo». Rappresenta una preziosa occasione per validare le soluzioni individuate attraverso una sperimentazione sul campo, misurarne l’efficacia, permetterne la diffusione a livello locale come strumenti di intervento operativo a favore delle persone e delle famiglie interessate.

Si tratta di un’esperienza che incarna una sussidiarietà solidale con le persone e a servizio della città. I risultati della sperimentazione infatti saranno immediatamente spendibili dagli operatori coinvolti e messi a disposizione della città e delle istituzioni per favorire politiche di welfare improntate alla responsabilizzazione degli attori coinvolti e al rendimento delle risorse investite.

La ricerca si sviluppa su due binari di intervento, uno di analisi tecnico-giuridica, l’altro di ricerca sperimentale. Il primo riguarda l’analisi e la valutazione degli interventi di sostegno economico e di contrasto alla povertà esistenti e attivabili a Livorno, a partire dagli istituti previsti dalla normativa nazionale, regionale e locale. In particolare l'obiettivo è di verificare la rispondenza di tali istituti al modello dei «diritti a corrispettivo sociale» e individuare le soluzioni giuridiche - amministrative e normative - necessarie a migliorare la capacità generativa degli interventi. Il secondo binario di ricerca, che vede coinvolte la 

Fondazione Zancan e la Caritas di Livorno, riguarda la sperimentazione di modalità di aiuto «generative». Per alcuni mesi gli operatori della Caritas di Livorno, opportunamente formati, seguiranno un numero predefinito (20) di persone prese in carico presso i propri servizi secondo le modalità sperimentali. I percorsi di aiuto verranno monitorati e valutati dall’equipe di ricerca, che predisporrà a chiusura della sperimentazione un rapporto dettagliato sugli esiti del lavoro, in termini di soluzioni validate e risultati prodotti.

7.

Rinviato il seminario Tfiey a Bruxelles

Momentaneamente sospeso il seminario «Transatlantic forum of inclusive early years: Investing for the development of children from migrant and low-income families», previsto il 24 novembre a Bruxelles nella sede del Comitato economico e sociale europeo (Cese-Eesc). Le istituzioni europee hanno infatti limitato le attività, consentendo esclusivamente quelle strettamente necessarie, a seguito dell’innalzamento al massimo livello di allerta dovuto all’alto rischio di attentati in città. A Bruxelles i soggetti promotori del progetto Tfiey avrebbero presentato le attività svolte a livello nazionale e internazionale. Era stata una precisa richiesta dello stesso Cese di conoscere e approfondire il progetto dedicato alle politiche per lo sviluppo dell’educazione e della cura della prima infanzia (0-6 anni). Un progetto che in questi anni di attività non si è limitato solo a fare advocacy, ma è riuscito a creare intorno a sé una rete, una comunità nazionale e internazionale che sperimenta nell’ambito dei servizi alla prima infanzia. «Abbiamo prima di tutto investito nel far sì che questa rete collaborativa, indipendente, libera di centri di responsabilità sociale e di pensiero si consolidasse, mettesse ponti con le reti analoghe che sono in operatività in altri Paesi Europei e Nord Americani e quindi costruire soluzioni» ricorda Marzia Sica della Compagnia di San Paolo, che ha avviato il progetto Tfiey in Italia in collaborazione con Fondazione Cariplo, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e Fondazione CON IL SUD e con la partnership scientifica di Fondazione Emanuela Zancan di Padova.  Siamo ormai al terzo anno e ora ci aspetta la fase di sperimentazione delle idee innovative e sostenibili che abbiamo messo a fuoco. È una sfida che ci vedrà impegnati nei territori con la valutazione di efficacia e la valutazione di impatto sociale. Tra i nomi di primo piano previsti al seminario, che sarà riorganizzato quanto prima, Luca Jahier presidente del terzo gruppo del Cese, Stefan Schafers della Fondazione Re Baldovino, Michael Vandenbroeck della Ghent University, June Thoburn, della University of East Anglia e molti rappresentanti delle istituzioni europee.

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