“La povertà che colpisce i minori ha effetti di lungo termine e comporta un maggiore rischio di povertà ed esclusione sociale per gli adulti di domani. Già a 3 anni è rilevabile uno svantaggio nello sviluppo cognitivo, sociale ed emotivo dei bambini provenienti da famiglie più disagiate e in assenza di interventi adeguati entro i 5 anni il divario aumenta ulteriormente. Eppure in Italia la lotta alla povertà infantile è ancora inefficace. Serve un punto di ripartenza, dopo troppi anni di recessione culturale e politica nei confronti dei primi anni di vita. L’idea stessa di esigibilità dei diritti per l’infanzia è da ripensare, con approcci di welfare generativo”. È iniziato così l’intervento del direttore della Fondazione Zancan Tiziano Vecchiato in audizione oggi alla Commissione Infanzia e adolescenza nell’ambito dell'indagine conoscitiva sulla povertà e il disagio minorile.
Povertà infantile in Italia. Gli ultimi dati Istat attestano che gli effetti della crisi continuano a peggiorare la situazione delle famiglie, soprattutto meridionali. Tra le famiglie con cinque o più componenti, più di un terzo è in condizione di povertà relativa (quasi metà nel Mezzogiorno) e quasi un quarto in povertà assoluta. La situazione è particolarmente grave per le famiglie con figli minori.
Il numero di minori in povertà assoluta è andato costantemente aumentando. Erano 723 mila nel 2011, 1 milione e 58 mila nel 2012, 1 milione 434 mila nel 2013: sono dunque raddoppiati negli ultimi tre anni.
Ma se proiettiamo questi dati nel confronto europeo siamo ancora più perdenti. In particolare, dai dati Eurostat emerge che nel 2012 tra i bambini fino a 6 anni quasi uno su tre (31,9%) era a rischio di povertà o esclusione sociale in Italia, contro poco meno del 26% a livello medio europeo.
Scarsa efficacia delle risposte attuali. Le risorse a favore di famiglie con bambini e minori nel 2010 rappresentavano il 4,6% della spesa complessiva di protezione sociale in Italia, contro l’8% della media europea (Eurostat). Una spesa insufficiente e impegnata soprattutto per trasferimenti economici, nonostante l’inefficacia dimostrata di queste soluzioni. In Italia, infatti, il rischio di povertà per i minori dopo i trasferimenti sociali nel 2011 (26,3%) era sensibilmente superiore alla media Ue, poiché l’impatto dei trasferimenti in termini di riduzione del rischio di povertà tra i minori italiani era di gran lunga inferiore all’impatto europeo: -6,7 contro -14,2 punti percentuali.
I confronti europei dimostrano, d’altro canto, che la disponibilità di servizi per la prima infanzia contribuisce notevolmente a ridurre la povertà dei bambini, ben oltre l’effetto dei trasferimenti economici. È questa una delle aree di approfondimento dall’iniziativa Tfiey – Transatlantic Forum on Inclusive Early Years, coordinata in Italia dalla Compagnia di San Paolo in partenariato con Fondazione Zancan, Fondazione Cariplo, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e Fondazione CON IL SUD e presentata alla Commissione durante la stessa audizione da Marzia Sica, Compagnia di San Paolo.
“I servizi socioeducativi consentono la conciliazione famiglia/lavoro e facilitano lo sviluppo cognitivo e relazionale per i bambini, soprattutto per quelli che provengono da contesti familiari svantaggiati. Offrono inoltre possibilità di nuova occupazione” sottolinea Vecchiato.
Ma la realtà in Italia è un’altra: solo il 13,5% dei minori di 0-2 anni nell’a.s. 2011/2012 aveva accesso a servizi socioeducativi comunali, l’11,8% considerando i soli asili nido. Dati che nascondono una marcata eterogeneità territoriale: a fine 2011 il tasso variava tra l’1,9% della Campania e il 24,4% dell’Emilia-Romagna (Istat, 2013).
Un cambio di passo possibile. È possibile, tuttavia, pensare a nuove forme di lotta alla povertà infantile. Una delle proposte della Fondazione Zancan è, ad esempio, di trasformare una parte degli attuali trasferimenti per assegni familiari, che valgono 6,5 miliardi, in servizi per la prima infanzia. Trasformando 1,5 miliardi di assegni familiari in asili nido, ad esempio, il numero di bambini presi in carico potrebbe aumentare di 201 mila unità, con un incremento del numero di addetti pari a 42 mila nuovi occupati. “Il risultato non è soltanto occupazionale se si considera ad esempio l’efficacia misurata in termini di riduzione della povertà e della disuguaglianza - evidenzia il direttore della Fondazione -. La professionalizzazione delle risposte di welfare è uno dei maggiori effetti dei servizi rispetto ai trasferimenti monetari”.
“La nostra proposta prefigura scenari di welfare alternativi a quello che conosciamo, recessivo e degenerativo – conclude il direttore -. La simulazione prefigura una proposta ‘a risorse invariate’, quindi possibile anche in tempi di crisi, per contribuire a uscirne. È un invito a formularne altre coerenti con soluzioni di welfare generativo per contribuire ad una rinnovata capacità di sviluppo umano e sociale”.
“Attraverso il Transatlantic Forum on Inclusive Early Years – afferma Marzia Sica della Compagnia di San Paolo -, possiamo contribuire a questo cambio di passo, grazie alla creazione di spazi di libero confronto, scambio e laboratori di sperimentazione che stimoliamo tra operatori, dirigenti di servizi accademici, decision e policy maker. Il nostro sforzo è di assicurare la condivisione e l’individuazione di soluzioni capaci di offrire risposte integrate ai bisogni e ai diritti dei bambini e delle loro famiglie, che tendano ad abbattere gli steccati di servizi separati non complementari tra loro”.
Per scaricare il testo integrale della Audizione www.welfaregenerativo.it.