Reddito
Garantire un reddito alle persone povere è l'obiettivo ricorrente dei sistemi tradizionali di welfare. Tecnicamente è «assistenza che assiste» ma non libera dal bisogno. L'approccio è «raccogliere» (RI) e «redistribuire» (R2), con diverse soluzioni di raccolta delle risorse necessarie (fiscali, mutualistiche, di mercato, a seconda dei Paesi). Ma gli approcci da «RI e R2» stanno mostrando i loro limiti di sostenibilità e di insufficiente riduzione delle disuguaglianze. L'Ocse ci sta dicendo da anni che siamo fanalini di coda in Europa nella capacità di ridurre la povertà dopo i trasferimenti. Sono «redditi garantiti» con contributi e indennità assistenziali. Nel nostro Paese lo Stato, le Regioni, gli enti locali li erogano senza chiedere «concorso al risultato». Sono decine, con diversa intensità, garanzia, durata. Ma il dibattito attuale non è interessato a sostituire queste politiche assistenzialistiche e passive. Rivendica, chiede, sostiene che l'Italia è in Europa, ma senza «reddito garantito». Dimentica che il nostro Paese distribuisce circa 4S miliardi ogni anno in assistenza economica, al netto degli ammortizzatori sociali (circa altri 20 miliardi annui per affrontare la crisi).
Sindrome Adw
La sindrome da analfabetismo di welfare (Adw) è in agguato. Chiara Saraceno in più occasioni ha cercato di fare chiarezza sul «di che cosa stiamo parlando». Agli addetti ai lavori (politici, esperti, dirigenti, operatori...) non manca la creatività: Reddito Garantito, Reddito di Cittadinanza, Reis, Sia, Social Card (vecchia e nuova), Rmi, Rui ..., affrontano nello stesso modo lo stesso problema. Aggiungono trasferimenti, senza eliminare duplicazioni e ingiustizie causate da redditi garantiti per diritto anche a chi non ne ha bisogno. Chi dice che le condizioni di oggi sono diverse da quelle di ieri non ha memoria, anzi manca di rispetto ai professionisti che da anni lottano con le persone perché escano dalla povertà. Livia Turco quindici anni fa ha voluto una legge (la 328/2000) non assistenzialista, che valorizzava quanti nel pubblico e nel privato, «chiedono agli aiutati di aiutarsi ogni volta che li aiutano». In questa logica aveva previsto la revisione del sistema dei trasferimenti. Se ci fosse stata, ora non avremmo l'Adw. Non vivremmo in una cosi grave recessione di welfare e di umanità, affidandoci a pratiche settoriali. Che non alimentano la speranza nel poter prenderei cura dei bisogni umani fondamentali.
Bonificare e investire
Vanno quindi contrastate le «selfìe-verità», costruite a propria immagine per sostenere le proprie tesi. Dicono mezze verità e non condizionano le proposte alla «bonifica preventiva di tutti i redditi garantiti», senza ipocrisie, facendo bene i conti, anche dei costi necessari per erogarli. Il caso della Regione Veneto (LR 3/2013) ci ha dato la possibilità di stimare quanto l'infrastruttura amministrativa incida sul valore trasferito: prudenzialmente si tratta del 34%. Se ad esempio lo applichiamo al Reis, servirebbero più di 2 miliardi in aggiunta agli oltre 7 miliardi stimati. È bene saperlo perché le poche risorse professionali dei Comuni non possono essere sottratte alle pratiche necessarie (in primis la «tutela dei minori») e destinate ad «amministrare una misura». Si creerebbe un vuoto colossale nella capacità di tutelare i soggetti deboli, negando i loro bisogni e diritti. Il nuovo welfare deve iniziare con «servizi reali, integrati da trasferimenti», insieme generativi di capacità e risorse. Le risposte centralizzate sono assistenziali, passive, incapaci di condivisione di responsabilità sugli esiti. Sono prestazionismo che ci condanna agli ultimi posti nella lotta contro la povertà: diamo ma in modo irresponsabile. Chi verifica chi? Chi verifica come? è una sconfitta per tutti. Da una profonda revisione della spesa assistenziale - invece - potremmo avere non poche sorprese, con pratiche generative, capaci di rendimento e di impatto sociale oggi impensabili.
Fonte: Rubrica Welfarismi di Tiziano Vecchiato, Vita maggio 2015