La logica della valutazione di esito si fa strada. In gioco non è solo la misura dei risultati, ma soprattutto l’esercizio delle responsabilità per il bene possibile. Si possono ottimizzare i fattori produttivi e migliorare le performance, ma si tratta di output e non di outcome. Può voler dire «fare molto» per «produrre poco». L’enfasi sulla qualità di processo ha attirato per molti anni le attenzioni istituzionali, con certificazioni e accreditamenti, ma ha evitato di affrontare la domanda sul governo delle responsabilità e la misurazione degli esiti.
Lo sanno bene quanti operano nei servizi alle persone. Il prestazionismo domina molte prassi e mortifica l’esercizio delle responsabilità. Quella che dovrebbe essere «arte professionale», trasformativa di capacità e risorse, si accontenta di fare quello che viene chiesto. Lo abbiamo visto nella vicenda Isee. Valorizza le capacità economiche sconnesse dalla filiera del logic model: input, output, activity, outcome, impact.
Le capacità economiche sono premesse disuguali cioè disuguaglianze. Se vengono solo contabilizzate prevale il vecchio welfare novecentesco: politiche passive, incapaci di garantire rendimento alle risorse a disposizione.
La sfida degli esiti non può essere evitata, consapevoli che subito dopo ci aspetta la sfida dell’impatto sociale. È pronta a presentarci il conto dell’utilizzo - spesso irresponsabile - delle risorse senza rendimento sociale. La differenza tecnica è sostanziale. Gli esiti sono beneficio diretto per i destinatari. L’impatto è beneficio esteso, per cerchi concentrici, a vantaggio della comunità.
È riconoscibile nella sequenza tra outcome «intenzionali e non intenzionali». Può essere outcome di tipo alfa, cioè misura di esito diretto delle azioni realizzate. Può essere di tipo beta: esito aggiuntivo reso possibile dalla personalizzazione delle risposte. Nei casi migliori è di tipo gamma, quando il valore è ulteriormente incrementato con il concorso degli aiutati, a vantaggio proprio e della comunità di riferimento.
Si tratta di una progressione generativa, che «mette a valore» l’esercizio delle responsabilità dei professionisti e dei destinatari, che agiscono «per e con», così da conseguire il massimo possibile di beneficio personale e sociale.
Tecnicamente è estensione delle potenzialità del logic model, se accetta di misurare gli esiti «ulteriori», quelli eccedenti, oltre le proprie attese, a beneficio della comunità. Sono esiti «unintended», non necessariamente prefigurati ma misurabili. Sono riconoscibili nell’incontro generativo di responsabilità, a vantaggio proprio e di altri, nell’incontro tra diritti e doveri, produttivi di corrispettivo e dividendo sociale.
La valutazione di impatto sociale è quindi molto promettente, perché entra nel merito del dividendo sociale che i servizi di welfare riescono a conseguire. Quando da costo diventano investimento è valore economico e sociale per tutti: i destinatari diretti e le comunità in cui vivono.
Fonte: Rubrica Welfarismi di Tiziano Vecchiato, Vita luglio 2015