1.

don Giuseppe una vita donata

Alle ore 8 di sabato 21 marzo 2015, è mancato mons. Giuseppe Benvegnù-Pasini, presidente della Fondazione Emanuela Zancan di Padova.

Siamo grati al Signore per averci donato don Giuseppe. Gli siamo riconoscenti per la ricchezza umana e spirituale. È stato un dono per tutti e per la Fondazione Zancan. Monsignor Pasini e monsignor Giovanni Nervo ci hanno lasciato entrambi il primo giorno di primavera. E insieme hanno contribuito alla primavera della Chiesa. Compagni di viaggio nella vita e nella fede e dono vivente per credenti e non credenti.

Il 3 marzo scorso alle 12 don Giuseppe aveva ricevuto al suo cellulare una telefonata di Papa Francesco. L’ha raccontata così: «(….) scoppiai a piangere e gli dissi: Santità, il fatto della Sua elezione è stato per me liberante. In quel momento ero in gran confusione, poi ebbi una illuminazione e pensai: ‘Offro le mie sofferenze a Dio per il Papa, perché possa compiere il suo enorme compito di riforma della Chiesa’, e dopo mi fu tutto più chiaro: la mia malattia non cadeva nel vuoto, ma aveva un compito nella Chiesa e nel mondo (…). Non soffrivo invano, ma tutto si univa alla sofferenza di Cristo (….). E dissi al Papa: ‘Santità, il fatto fu per me liberante, perché avevo uno scopo per cui pregare e per cui soffrire’. Il Papa, prima stette in silenzio, poi disse: ‘Volevo dirle che la ringrazio e che apprezzo la sua preghiera e la sua offerta del dolore’. Conclusi ‘Santità, continuo a pregare per Lei e per la Chiesa’ e lui: ‘La prego ancora, preghi per me, per il Papa’, e mi benedisse».

Il numero  1/2015 di Studi Zancan è interamente dedicato a mons. Giuseppe Benvegnù-Pasini. I suoi scritti sono testimonianze vive di passione sociale e spirituale, dedicati all’umanità sofferente. Anche per questo ha costantemente cercato risposte ai problemi. Abbiamo sintetizzato le sue parole in una selezione di testi. Nella sezione «Politiche e servizi» c’è un piccolo affresco di temi a lui cari: solidarietà, giustizia, cittadinanza, carità, ricerca di rilevante interesse sociale, globalizzazione e diversità, ruolo politico del volontariato, immigrazione.

Nella monografia il quadro si allarga con un mosaico di scritti. Sono tutti editoriali che don Giuseppe ha redatto a partire dal 2000. È sorprendente la distanza tra l’anno di pubblicazione e l’attualità delle sue parole. Se chi legge non lo sapesse, potrebbe credere che li abbia scritti oggi, anzi domani, visto il carattere profetico e lungimirante delle sue analisi.

Con l’idea delle «Gemme di possibili cambiamenti sociali» abbiamo composto i problemi e gli interessi di una vita spesa per gli altri, gli ultimi, il bene comune. Gli editoriali affrontano molte questioni: gli aiuti umanitari, l’accoglienza dei bambini stranieri, il futuro del terzo settore, il sistema integrato di 

interventi e servizi sociali, le persone anziane, il diritto alla salute, il terrorismo, il volontariato, la guerra, le emergenze, la vita consacrata, la costituzione, il diritto di asilo. Sono altrettanti modi per riflettere sulle radici della solidarietà, le fragilità, le criticità del volontariato, la famiglia, la lotta alla povertà, la non violenza, i pregiudizi sociali, la crisi alimentare, le politiche ambientali, la pace e la giustizia, la Chiesa e i profeti di oggi come il cardinal Martini.

Studi Zancan si conclude con i due testi di don Giuseppe nella sezione «Ricerche ed esperienze». La ragione è semplice: affrontano con il metodo della ricerca due problemi diversi e a lui molto cari: l’apporto delle Caritas diocesane alla «lotta alla povertà» e come prefigurare nuovi modi per «difendere la patria» con il servizio civile. Sono due facce di una medaglia che parla di redenzione, liberazione, cittadinanza, rinnovamento in una società mortificata da una crisi profonda. Don Giuseppe propone di praticare nuovi modi di essere società, con solidarietà e responsabilità, con amore e fraternità, con la fede che si trasforma in opere.

2.

Politiche sociali da costo a investimento per promuovere il valore delle persone

L’Ordine degli assistenti sociali della Sardegna il 17 marzo ha organizzato a Cagliari, nell’ambito della Giornata mondiale del Servizio sociale, il convegno «Promuovere la dignità e il valore delle persone». Vi ha preso parte anche il direttore della Fondazione Emanuela Zancan di Padova, Tiziano Vecchiato, intervenendo sul tema «Politiche sociali da costo a investimento – Rigenerare risorse, restituire dignità. Buone prassi in Italia e diffusività del welfare generativo».

È stata un’occasione per riflettere sulle sfide poste dalla crisi economica che ha colpito la Sardegna come il Paese intero, e sulla conseguente necessità di un cambiamento radicale nelle politiche di welfare. La crisi degli ultimi anni ha ampliato le aree di povertà ed esclusione, allargando le disuguaglianze socio-economiche. Ha colpito più duramente le fasce più bisognose di aiuto, in primo luogo i bambini e i ragazzi. In questo quadro, è necessario adottare nuovi approcci di welfare, capaci di ristabilire i principî costituzionali di equità e giustizia, oltre le tradizionali politiche di aiuto che amministrano le risorse a disposizione senza governarle, con logiche assistenzialistiche. Serve un nuovo paradigma di welfare che sia «generativo», per passare da diritti ‘individuali’ a diritti a corrispettivo sociale.

Non si può più restare ancorati al passato: è necessario adottare un approccio a maggiore capacità e potenza, che possa davvero promuovere corresponsabilità sociali, rigenerare le risorse, grazie alla responsabilizzazione resa possibile da nuovi modi di intendere i diritti e doveri sociali. Così il welfare da costo può diventare investimento. Da qui è iniziata una ricognizione di esperienze che già vedono coinvolti attivamente amministrazioni locali, realtà sanitarie, fondazioni bancarie, soggetti della solidarietà sociale, fondazioni private, centri di ricerca, che con la Fondazione Zancan stanno attivando e sperimentando soluzioni innovative. A questo punto il problema non è più soltanto di prefigurare il futuro, ma di realizzarlo e di valutare l’impatto sociale delle nuove soluzioni di welfare. Si sta cioè creando una comunità di pratiche generative che condivide soluzioni e che coinvolge anche molti giovani, visto che sono almeno 30 le tesi di laurea sul tema discusse in alcune Università italiane. Numerosi spunti e materiali utili si possono trovare nel sito www.welfaregenerativo.it.

3.

La cura chiede Arte. Il fallimento della tecnoassistenza

Le professioni di welfare si sono sviluppate grazie all'incontro tra carità e giustizia. La giustizia aveva bisogno di farsi strada con capacità professionali. La strada era in salita e le risorse erano e sono scarse per definizione. Nel tempo «curare» e «prendersi cura», nativi nella carità, si sono via via separati, privilegiando modi innaturali di essere servizio alle persone. Molte risposte sanitarie e sociali si sono infatti ridotte a prestazioni e trasferimenti, con professionalità impoverite. Non sarà difficile sostituirle, con tecnologia altrettanto prestazionale, ma meglio tracciabile. L'allineamento verticale e settoriale delle responsabilità ha contribuito a questa crisi, dentro organizzazioni incapaci di creare campi di forze necessarie per potenziare l'azione professionale. Il deterioramento delle responsabilità sta favorendo il prestazionismo, a cui si sono consegnate molte pratiche professionali. Fanno tanto e producono poco. Inseguono l'appropriatezza di processo, ma si allontanano dalla loro ragione di esistere: l'aiuto che aiuta. La raccolta fiscale mette a disposizione oltre 100 miliardi di euro per la sanità. Il risultato occupazionale è di circa 716mila posti di lavoro (ministero della Salute). Sommati alle risposte private diventano circa 1,27 milioni (Eurostat). È un buon risultato. L’assistenza sociale con 50 miliardi fa molto meno, visto che solo il 10% viene trasformato in servizi, cioè in occupazione di welfare. Il resto sono trasferimenti, privi di trasformazione professionale. Ostacolano la creazione di lavoro e contribuiscono agli «aborti occupazionali». Riguardano molti giovani formati, con buone capacità, ma senza futuro occupazionale. Abbiamo contato a Milano 65 possibilità di ricevere trasferimenti economici pubblici per la povertà, al netto degli aiuti privati. Abbiamo verificato gli indici di equità dei trasferimenti (per indennità, integrazioni, assegni) in Sardegna. Non è emersa corrispondenza tra bisogni e quantità di benefici economici distribuiti nei territori. Fatto 100 l'indice medio regionale di deprivazione delle persone anziane, i valori provinciali variano da un minimo di 59 a un massimo di 112. Ma c'è di peggio. Con una legge del 2013 il Veneto ha fatto una «call for poverty». Circa 34.500 famiglie hanno risposto chiedendo aiuto. Solo 1.233 hanno ricevuto un contributo (il 3,6%), e il 64% delle domande validate con Isee nullo non è stato ammesso al contributo. Il lavoro socialmente inutile per valutare tutte le domande ha comportato un costo aggiuntivo del 34% rispetto al valore degli importi erogati. È un caso, purtroppo non isolato, di welfare degenerativo: quello che si fa costa molto di più di quanto si mette a disposizione. Lo hanno confermato gli operatori che hanno vissuto l’esperienza e lo stanno evidenziando studenti di alcune università. Nelle loro tesi mettono a confronto approcci degenerativi e generativi. Studiando i secondi capiscono come investire in un futuro possibile: per loro e per un welfare più solidale. La sanità non sta meglio.

Il suo prestazionismo si concentra soprattutto negli eccessi di diagnostica, che sottraggono risorse e capacità al curare e prendersi cura. L'arco terapeutico non sta in piedi: il primo pilastro (la diagnostica) è ipertrofico e le pietre successive (prognostica, curare, prendersi cura, esiti di salute) sono asfittiche e insufficienti. Invece di arco autoportante, pieno di forza e capacità, pietre disallineate e costose. Anch'esse potranno essere sostituite con tecnologia senza arte professionale. Ma è proprio l'arte professionale la condizione necessaria per modellare soluzioni capaci di «carità e giustizia» per «curare e prendersi cura», dentro campi di capacità concorrenti all'esito migliore «per le persone e con le persone». Difficile dire se le professioni sapranno evitare il rischio di estinzione da welfare degenerativo. Una cosa però è sempre più chiara: dagli «imbozzolamenti tecnici» i bruchi non escono, non diventano farfalle e la notte non prepara il giorno (rubrica di Tiziano Vecchiato su Vita, marzo 2015). 

4.

Preadolescenti: uno su quattro è sovrappeso, il 10% è obeso

Un ragazzo su quattro a Padova e provincia è sovrappeso e la quota di obesi arriva al 10%. Sono alcuni dei dati più significativi che emergono dalla prima annualità del progetto «Crescere», uno studio sugli 11-12enni padovani realizzato dalla Fondazione Zancan in tutta la provincia, grazie al sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. I dati si riferiscono a un campione di 248 ragazzi che si sono sottoposti ad approfonditi esami da parte dell’Azienda Ulss 16 nell’ambito dei «bilanci di salute». Si tratta di monitoraggi periodici in cui vengono misurati peso, altezza, circonferenza addominale, composizione corporea, sviluppo puberale, volumi polmonari ecc.

I dati dello studio evidenziano una frequenza dei ragazzi in sovrappeso/obesi (in base al calcolo dell’indice di Cole e utilizzando le tavole della SIEDP-Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica) maggiore nei maschi rispetto alle femmine: rispettivamente 32,5% e 17,2%. Le percentuali riscontrate nel nostro studio sono pressoché in linea, e dunque vanno a confermare, i dati raccolti nel 2010 dal sistema di monitoraggio nazionale sui bambini Italiani in età scolare. Esso è promosso dall’Ufficio regionale per l’Europa dell’OMS e condotto in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità e il MIUR. Essi riportavano una prevalenza di soprappeso/obesità che tra gli 11enni maschi era del 29,3% e del 19,5% tra le femmine e tra i tredicenni del 26,3% nei maschi contro il 17,1% nelle femmine (Studio HBSC Italia 2010, www.hbsc.org).

«La salute dei nostri ragazzi è al centro dell’attenzione dello studio Crescere – ha evidenziato Tiziano Vecchiato, -. Grazie all’Azienda Ulss 16 abbiamo la possibilità di svolgere un’analisi approfondita su questo aspetto. Ci conferma che l’obesità è uno dei maggiori problemi di salute pubblica dei nostri giorni. È in costante aumento, interessa non solo gli adulti ma anche i bambini».

«Il fatto che ragazzi di questa età siano sovrappeso li espone precocemente a complicanze fisiche morbose quali difficoltà respiratorie, problemi articolari, mobilità ridotta – ha sottolineato la dott.ssa Barbara Montini, Biotecnologia Medica, che, sulla base dei dati raccolti, ha svolto la tesi di master di I livello in Nutrizione di comunità ed Educazione alimentare -. A ciò si aggiungono le molte evidenze scientifiche sul fatto che bambini obesi hanno una più alta probabilità di diventare adulti obesi, con le conseguenze che ciò comporta riguardo al più alto rischio di sviluppare malattie croniche del cuore e il Diabete di tipo 2. Infine, non è da sottovalutare l’aspetto psicologico poiché questi ragazzi, spesso, si sentono a disagio fino ad arrivare a un vero e proprio rifiuto del proprio aspetto fisico e allo sviluppo di un senso di insicurezza che li porta all’isolamento. Escono meno di casa, stanno più tempo davanti alla TV e al computer e instaurano, così facendo, un circolo vizioso di inattività che li può portare a iperalimentazione reattiva».

Controllare annualmente i ragazzi del progetto Crescere permette anche di individuare precocemente alterazioni migliorabili con un'attenta e precoce diagnosi: pensiamo ai paramorfismi del rachide, alle scoliosi o anche alle cattive abitudini alimentari (una non corretta distribuzione dei pasti, l’uso eccessivo di merendine o snack, la non assunzione di frutta e verdura…). Il progetto rappresenta un’occasione per migliorare lo stile di vita, orientandoli anche a un’attività sportiva regolare: praticare uno sport a questa età permette di crescere bene nel corpo e nella mente ed è fondamentale anche per la salute futura.

Il progetto Crescere finora ha coinvolto 500 ragazzi nei territori delle Ulss 15, 16 e 17 e continuerà nei prossimi anni, monitorando la crescita e lo sviluppo dagli 11 ai 18 anni d’età. Ha il patrocinio della Fondazione Città della Speranza e dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza. È realizzato in collaborazione con l’Azienda Ulss 16, 85 Comuni della provincia di Padova e Rovigo, il De Leo Fund Onlus, la Fondazione Girolamo Bortignon e la Fondazione Opera Immacolata Concezione. E' sostenuto e promosso dall'Ufficio di Protezione e Pubblica Tutela dei Minori del Veneto.

Per ulteriori informazioni: www.crescerebene.org/news

5.

Sistemi integrati: nuove frontiere per i servizi all’infanzia

È disponibile on line il Quaderno 5 della collana TFIEY a cura di Cinzia Canali, Devis Geron, Elena Innocenti e Tiziano Vecchiato: Sistemi integrati: nuove frontiere per i servizi all’infanzia.

L’appuntamento con l’integrazione non poteva mancare nel percorso Tfiey, visto che i termini «transatlantic» e «forum» dichiarano a chiare lettere questo sforzo. La prima infanzia è un terreno di tutti e di nessuno. È di tutti quando parlarne rappresenta un modo per alimentare la speranza ma anche per evitarla con auspici, dichiarazioni, attestazioni di valore a cui non fanno seguito le pratiche necessarie. È di nessuno quando il vuoto di iniziativa e di responsabilità ci mette davanti una realtà meno generosa, più cruda, reale. Per questo gli indici di deprivazione, di accesso inadeguato, di disuguaglianza, proprio nella fase nativa della vita, dove sarebbe invece necessario il massimo di opportunità per ogni bambino, descrivono dei deficit profondi di umanità e di capacità sociale e politica di affrontare in modo adeguato queste sfide.

Un modo per giustificarsi è dire che i problemi sono troppo grandi, sovrastano le singole capacità, le singole fonti di risorse. Proprio perché è così bisogna accettarlo e farne una ragione positiva per ripartire in modo diverso, facendo di capacità limitate e settoriali la ragione sfidante per ridurre questo dislivello, con tutta la forza disponibile, da portare a concorso al risultato, valorizzando tutte le capacità a disposizione. L’integrazione serve a questo, a superare ostacoli più grandi di ogni parte interessata, a configurare risorse in modo inedito e finalizzato alla natura dei problemi, a non subire le difficoltà ma a farne parete di roccia da superare grazie anche alla forza che ogni problema mette a disposizione.

Contenuti

Introduzione

1. Sistemi integrati (Perché sistemi integrati?; Integrazione di risorse o di responsabilità?; Livelli di integrazione; Potenziali dell’integrazione; Resistenze al cambiamento)

2. Sistemi non integrati (Da dove nascono i problemi; Criticità persistenti; Regolazioni dell’integrazione; Integrazione con o senza le persone; Governabilità e integrazione tra sistemi; Culture dell’integrazione; Apprendere dai servizi integrati per la prima infanzia)

3. L’integrazione: questione trasversale in diversi paesi (L’integrazione dei servizi nella prospettiva internazionale; Le raccomandazioni a favore dell’integrazione dei servizi; Selezione di contributi sull’integrazione dei servizi)

4. L’integrazione nelle idee condivise Tfiey (Integrazione istituzionale; Integrazione gestionale; Integrazione professionale; Integrazione comunitaria)

5. Alle radici dell’integrazione (Famiglie: da destinatarie a soggetti; Ostacoli e resistenze; Riconoscere nelle persone ogni persona; Esercizi condivisi di responsabilità; Dalla partecipazione parlata alla integrazione delle responsabilità)

Scheda sugli strumenti giuridici per l’integrazione

Bibliografia; Biblioteca del Tfiey

6.

Presentazioni del rapporto povertà 2014

Una nuova forma di welfare non solo è possibile, ma necessaria. Serve un cambio di paradigma: i costi possono diventare investimento, con verifiche di esito e di impatto sociale, superando la logica assistenzialistica che ci inchioda all’inefficacia delle azioni di contrasto. La Fondazione Emanuela Zancan lo sostiene da tempo, da quando ha teorizzato il «welfare generativo», una nuova idea di welfare in grado di rigenerare risorse e capacità.

Sempre più Comuni del Veneto hanno compreso la portata della sfida, accettandola. Anche il Comune di Cadoneghe, in provincia di Padova, ne è convinto e ha approfondito la proposta lo scorso 25 marzo, durante la presentazione del Rapporto sulla lotta alla povertà «Welfare generativo. Responsabilizzare, rendere, rigenerare» (Il Mulino, 2014). Il volume indica azioni concrete e necessarie per cambiare passo e contrastare la povertà. All’incontro sono intervenuti Tiziano Vecchiato, direttore della Fondazione, il Sindaco di Cadoneghe Michele Schiavo e l’Assessore ai Servizi Sociali Augusta Parizzi.

I risultati del nostro welfare li conosciamo, sono parziali e perdenti, mentre sono aumentate le fonti di prelievo da parte di stato, regioni, enti locali. Se il welfare è un costo, il prelievo diventa necessario «per ogni erogatore»: a monte la fiscalità generale, in prossimità delle persone l’imposizione regionale e locale. Le famiglie vedono così sommarsi le voci in uscita mentre rimangono inadeguati i servizi in entrata. Aumentano i costi ma non le risposte. Gli andamenti degenerativi lo testimoniano, anzi ci danno la misura dell’urgenza di affrontarli con scelte coraggiose. È nei momenti di maggiore difficoltà che le resistenze al cambiamento possono essere fiaccate, messe in discussione, per poterle affrontare e superare.

La Fondazione Zancan individua almeno cinque passi per arrivare a questa nuova forma di welfare: a) ridurre i trasferimenti e trasformare il valore equivalente in servizi; b) misurare il rendimento in occupazione e in gettito fiscale e contributivo conseguente; c) misurare gli indici di ampliata accessibilità a vantaggio di quanti ne hanno bisogno a costi per loro sostenibili; d) valorizzare e misurare le capacità degli aiutati (dei beneficiari delle risposte di welfare) nel rigenerare quota parte delle risorse investite; e) portarle a corrispettivo sociale, misurando l’impatto e il «dividendo sociale» conseguito. 

Sono azioni che parlano di «cosa» e «come» raccogliere, in base alle capacità, per poter distribuire più equamente le risorse a disposizione, facendo rendere i talenti, su scala personale e sociale, così da rigenerare le capacità e le risorse, responsabilizzando ogni persona.

Il Rapporto è stato presentato pubblicamente anche a Padova venerdì 20 marzo presso la Libreria San Paolo Gregoriana. Sono intervenuti:

  • Alessandra Coin, Comunità di Sant’Egidio, Padova.
  • Gilberto Muraro, professore emerito di Scienza delle finanze, Università degli Studi di Padova e presidente Cassa di Risparmio del Veneto.
  • Don Marco Cagol, delegato vescovile e direttore della Pastorale Sociale e del Lavoro, giustizia e pace, salvaguardia del creato.

È seguito un dibattito che ha agevolato lo scambio di idee.

7.

Il lavoro povero: dove l’illegalità incontra la legalità

Sono molti i settori della produzione – dall’agricoltura ai servizi – in cui il lavoratore, pur lavorando a tempo pieno, resta al di sotto della soglia di povertà. È il caso del lavoro nero, sottopagato o con modalità che implicano la restituzione di parte dello stipendio, solo per fare alcuni esempi. Ci sono poi forme di «caporalato» che non sono più solo nell’agricoltura e al sud Italia, ma che si estendono ovunque, anche in Veneto. È stato questo il focus del convegno «Il lavoro povero: dove l’illegalità incontra la legalità» (Padova, 9 marzo). Sono intervenuti: don Albino Bizzotto (Beati i costruttori di Pace), Tiziano Vecchiato (direttore della Fondazione Emanuela Zancan), Luciano Greco (Professore di scienze delle finanze, Università di Padova), Christian Ferrari (CGIL Padova), Marco Lombardo (Libera Padova), don Luca Facco (direttore Caritas Padova), e Roberto Ongaro (responsabile regionale lavoro PD).

Don Bizzotto ha stimolato la riflessione così: «Se il lavoro non è più il luogo in cui si realizza la dignità, come si può dare speranza e possibilità di futuro alle tantissime persone che si rivolgono al volontariato per un aiuto e per una possibilità di vita dopo l'emergenza? Se l'ente locale offre 7 euro per un giorno di lavoro qual è il contributo pubblico alla soluzione del problema della povertà?».

Vecchiato ha sottolineato: «Con questo convegno si porta all’attenzione della comunità padovana un’area di povertà poco conosciuta e preoccupante per gli sviluppi che potrebbe avere. Riguarda lavoratori sottopagati che operano soprattutto nella logistica e nei servizi della mobilità delle merci. Ricevono un basso salario e spesso sono ostaggio di chi offre loro servizi (come alloggio e microcredito). In questo modo diventano dipendenti di chi gli offre un lavoro precario e può disporre di loro come crede, anche oltre la legalità. È una condizione che a volte si configura come tratta e sfruttamento di lavoratori poveri e che continuano a essere poveri lavorando in queste condizioni».

«Lo sfruttamento rappresenta un meccanismo di contenimento dei costi di produzione ma anche, forse soprattutto, un canale di collegamento tra economia criminale e economia legale – ha evidenziato Greco -. Lo sfruttamento, anche nelle zone industriali vicino ai grandi centri urbani del Nord e del Nord Est, è un canale di impiego dei capitali da riciclare, di sfruttamento dell'immigrazione illegale, ecc. L'impatto sociale di questi fenomeni è la povertà dilagante, anche tra classi lavoratrici (non solo immigrate), e l'alimentazione dei fenomeni criminali nelle periferie urbane».

«Esistono larghe opacità non solo sull’aspetto della retribuzione e della contribuzione – ha detto Ongaro - ma anche sulla reale corrispondenza tra assunzione, retribuzione, rispetto delle norme contrattuali. Nel caso di lavoratori extracomunitari oltre alla condizione di immigrazione clandestina che diventa arma di ricatto, c’è anche il fondato sospetto che ci siano ‘richiami’ di lavoratori potenziali dai paesi di origine».

8.

Famiglie fragili e figli a rischio evolutivo

Famiglie fragili a rischio evolutivo, come sostenere il diritto del bambino alla sua famiglia d’origine? È possibile creare le condizioni per prevenire l’allontanamento o ridurne i tempi?

La giornata di studio promossa dal Consultorio Familiare Ucipem onlus lo scorso 26 marzo a Trento ha voluto rispondere a questi interrogativi.

L’esigenza di interventi verso le famiglie con carenze nell’accudimento dei figli impegna molto i servizi, arrivando anche a contrapporre gli interessi dei figli a quello dei genitori.

Studi recenti sollecitano la sperimentazione di soluzioni innovative «per tutta la famiglia» a garanzia di maggior tutela di bambini e ragazzi che sono in situazioni di rischio evolutivo.

Il seminario ha approfondito la tematica dei legami di attaccamento, focalizzandola in particolare sulle situazioni familiari compromesse, di bambini e famiglie messi «sotto tutela».

È stata un’occasione di confronto clinico e di approfondimento interdisciplinare su un modello d’intervento centrato sui  bisogni del figlio, ma rivolto a tutto il nucleo famigliare, con una presa in carico del sistema «bambino con i suoi legami».

Ha avviato una riflessione nell’ambito della valutazione di efficacia, degli esiti degli interventi che si fanno nell’area della tutela.

Sono intervenuti: Bommassar Roberta, psicologa psicoterapeuta, docente CeRP; Dossi Francesca, assistente sociale Comune Rovereto; Malossini Maria Vittoria, psicologa-psicoterapeuta, docente CeRP; Marotta Katiuscia, assistente sociale Comune Trento; Matacotta Valeria, psicologa-psicoterapeuta, Progetto Pinocchio; Piazza Sara, psicologa psicoterapeuta, Presidente Ordine degli Psicologi di Trento; Pisoni Daniela, psicologa-psicoterapeuta, Progetto Pinocchio; Scopel Vanda, psicologa-psicoterapeuta, Progetto Pinocchio; Vecchiato Tiziano, direttore Fondazione Emanuela Zancan di Padova 

9.

Quando il welfare può essere generativo

Venerdì 27 marzo, presso la Casa di Spiritualità dei Santuari Antoniani a Camposampiero (PD), si è svolto il seminario «Quando il welfare può essere generativo?».

Ha permesso di avviare una ricerca condivisa su modalità capaci di realizzare nuovi modelli di welfare nel territorio dell’Ulss 15 di Cittadella-Camposampiero, anche in vista della prossima definizione del Piano di Zona 2016-2020.

A partire dalla proposta di welfare generativo della Fondazione Zancan, il seminario ha stimolato la riflessione sulle condizioni che possono rendere «generativo» un sistema di welfare territoriale. Durante l’incontro – aperto a dirigenti delle cooperative dell’Alta padovana, operatori dei servizi pubblici (Ulss ed enti locali), assessori ai servizi sociali dei comuni e rappresentanti del mondo del volontariato – Tiziano Vecchiato ha tenuto una relazione sul tema «Welfare generativo: quali le condizioni che permettono la generatività?».

Per approfondimenti: www.welfaregenerativo.it

10.

5 per mille alla Fondazione Zancan

Puoi contribuire al miglioramento dei servizi sociali, sanitari ed educativi devolvendo il 5 per mille alla Fondazione Zancan

Il codice fiscale della Fondazione è 00286760285

Buoni motivi per donare alla Fondazione Zancan

Da 50 anni:

  • è impegnata a fianco dei servizi e degli operatori che lavorano a diretto contatto con le persone, aiutandoli a fornire le migliori risposte ai bisogni dei più deboli;
  • è in prima linea nella lotta contro la povertà e l’esclusione sociale;
  • sperimenta strumenti e soluzioni innovative per promuovere l’efficacia degli interventi;
  • divulga conoscenze e promuove dibattiti culturali sui temi caldi del cambiamento sociale

Le parole chiave che caratterizzano le sue attività: centralità della persona, umanizzazione dei servizi, integrazione, valutazione, efficacia, impatto sociale.

Cos’è il 5 per mille

Il 5 per mille è una quota della tua imposta sul reddito, a cui lo Stato rinuncia e che tu puoi liberamente scegliere di destinare a sostegno di attività di utilità sociale. Si tratta quindi di un gesto che non ti costa nulla.

Come fare per destinare il tuo 5 per mille alla Fondazione Zancan

Se presenti il Modello 730 o Unico

Compila lo spazio riservato al cinque per mille sul modello 730 o Unico, in due semplici passi: metti la tua firma nel primo riquadro indicato come «Sostegno del volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale,...» e scrivi il codice fiscale della Fondazione Zancan 00286760285 nello spazio subito sotto la firma.

Se non presenti la dichiarazione dei redditi

  • compila la scheda fornita insieme al CU (ex CUD) dal tuo datore di lavoro o dall'ente erogatore della pensione, in due semplici passi: metti la tua firma nel primo riquadro indicato come «Sostegno del volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale,...» e scrivi il codice fiscale della Fondazione Zancan 00286760285 nello spazio subito sotto la firma;
  • inserisci la scheda in una busta chiusa;
  • scrivi sulla busta «SCELTA PER LA DESTINAZIONE DEL CINQUE PER MILLE DELL’IRPEF» e indica il tuo cognome, nome e codice fiscale
  • consegnala a un ufficio postale (che la riceverà gratuitamente) o a un intermediario abilitato alla trasmissione telematica (CAF, commercialisti...).

Grazie per il tuo aiuto e se potrai segnalare ad amici e conoscenti questa opportunità.

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