1.

Studi Zancan 2016

Nel 2016 «Studi Zancan» è ad accesso gratuito. La Fondazione Zancan ha scelto questa strada per facilitare la massima condivisione di idee e risultati scientifici, la diffusione di pratiche, lo sviluppo di soluzioni innovative. «Studi Zancan» è scaricabile dal sito www.fondazionezancan.it (area pubblicazioni).

I contenuti del n. 1/2016

«Contrasto della povertà e riordino dei servizi sociali», di Tiziano Vecchiato, raccoglie le proposte e la documentazione presentata a Roma nell’Audizione delle Commissioni riunite XI (Lavoro pubblico e privato) e XII (Affari sociali) del 15 marzo 2016, sul disegno di legge n. 3594 «Delega recante norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali (collegato alla legge di stabilità 2016)».

Giulia Barbero Vignola e altri analizzano i risultati dello studio longitudinale CRESCERE. La transizione dall’infanzia all’adolescenza è un momento chiave nella vita. Si affrontano numerose sfide che aiutano a potenziare le capacità e a formare la propria identità. I risultati dello studio mettono in luce i circoli virtuosi che si possono sviluppare nella vita dei ragazzi. Emerge l’importanza dei legami familiari, del dialogo con i genitori, del supporto della famiglia e di quanto sia importante, per promuovere la fiducia nelle proprie capacità, il sentirsi bene con se stessi e con gli altri. Il benessere scolastico è un altro aspetto fondamentale per la crescita, per lo sviluppo psicologico e sociale dei ragazzi.

Roberto Maurizio, Marzia Sica e Cinzia Canali presentano il percorso piemontese realizzato nell’ambito del progetto internazionale Transatlantic Forum on Inclusive Early Years (Tfiey). L’obiettivo è stato migliorare le risposte dei servizi, pubblici e privati, rivolti ai più piccoli e, in particolare, ai bambini che vivono in famiglie a basso reddito o con storie di immigrazione. L’articolo pone l’attenzione su tre temi: l’accesso ai servizi, la formazione del personale, la valutazione di esito. Per ognuno sono evidenziate le criticità, i cambiamenti attesi, le condizioni necessarie per l’innovazione e l’apporto specifico dei partecipanti al percorso, coordinato da Compagnia di San Paolo con la collaborazione scientifica di Fondazione Zancan.

Nella nuova edizione della rivista tra le rubriche si aggiunge «Una finestra sul mondo», riguardante le attività nell’ambito della nostra rete internazionale, e «Proposte culturali». 

2.

Fondazioni bancarie e lotta alla povertà 

La lotta alla povertà è finalmente entrata nell’agenda politica. Ma fa ancora troppo affidamento sull’aiuto economico, certo utile nell’emergenza, ma non risolutivo. La capacità di innovazione sociale delle fondazioni bancarie per realizzare programmi efficaci perché pensati con i beneficiari. L'articolo di Tiziano Vecchiato pubblicato su lavoce.info (8 marzo 2016).

Le misure e i risultati

La lotta alla povertà è entrata nell’agenda politica? Sì, anche se alcuni dubbi nascono dalle troppe misure settoriali utilizzate per dare aiuti economici, utili nell’emergenza, ma non per uscire dalla povertà. L’elenco delle sigle comprende ad esempio: Rmi (reddito minimo di inserimento), Rui (reddito di ultima istanza), Sc (Social card), Sia (sostegno per l’inclusione attiva). Le verifiche istituzionali realizzate negli anni si sono limitate a considerare i processi erogativi (ad esempio il numero di quelle effettuate rispetto a quelle previste) senza valutarne gli esiti. Cosicché le contraddizioni sono emerse soprattutto quando la stampa ha evidenziato i grandi ritardi delle erogazioni, per l’eccessiva burocratizzazione e l’insufficienza delle risorse professionali. Oggi possiamo sperare che in futuro non sarà così. Ma di «attivazione» degli aiutati si parla dal 1998, quando è stato introdotto il reddito minimo di inserimento e fin da allora è stata sottovalutata la necessità di una robusta infrastruttura professionale nei territori, che permetta di passare «dal dire al fare», cioè di accompagnare realmente i percettori di sussidi verso l’uscita dalla povertà.

La persona al centro

Chi è in condizioni di grave sofferenza sociale non può essere «assistito e lasciato solo». Servono nuovi modi per lottare contro la povertà, ben oltre gli aiuti assistenziali, «con le persone», in un’ottica di cittadinanza generativa. Sorprese positive potrebbero venire dal piano di lotta alla povertà educativa, se sarà pensato come azione strategica e non settoriale. La qualifica «educativa» non è infatti soltanto un aggettivo, ma un modo per qualificare un grande problema e poterlo affrontare nelle sue diverse dimensioni e condizioni esistenziali. E le dimensioni sono sconcertanti, perché i bambini e ragazzi in povertà assoluta sono più di 1 milione, il 10 per cento di quelli residenti in Italia, con un’incidenza di povertà assoluta superiore a quella della popolazione nel suo complesso (6,8 per cento). I valori sono quasi doppi rispetto al 2011 (quando erano 523 mila) e tripli rispetto al 2008 (375 mila). La quasi totalità dei minori in povertà assoluta ha genitori con istruzione non elevata (97 per cento dei casi con diploma di scuola media superiore) e un solo genitore occupato (il 60 per cento) con un basso profilo professionale (dati Istat). Nell’arco evolutivo dagli zero ai 18 anni si concentrano cioè tanti problemi per figli e genitori, che insieme vivono in condizioni di miseria, deprivazione, esclusione, mancanza del necessario per vivere. Tuttavia, non si può affrontare questa sfida con mezzi convenzionali, di tipo amministrativo o assistenziale. Negli ultimi decenni abbiamo visto trasportare «dalle istituzioni agli assistiti» grandi quantità di risorse economiche, che si sono rivelate del tutto inadeguate perché prive di una «logistica professionale delle capacità». Le capacità sono infatti il bene primario per lottare contro la povertà «con i poveri». Il «concorso al risultato» è infatti la condizione strategica per chi accetta un’evidenza elementare: «non posso aiutarti senza di te»: è – o meglio, dovrebbe essere – il mantra di ogni operatore, amministratore, istituzione, formatore, volontario o ricercatore. Non si può pensare di contrastare la povertà educativa, ad esempio, senza valorizzare le capacità e le potenzialità di ogni bambino (e genitore). Bisogna anzitutto dire dei «no» e dei «sì». Dire «no» significa «non affidarsi» a chi in questi anni ha gestito grandi quantità di risorse senza risultati. Dire «sì» significa chiedere a quanti offrono risorse per lottare contro la povertà educativa di «esserci», di mettere a disposizione la proprie capacità, di gestirle in concorso al risultato con i destinatari: bambini e genitori.

Da costo a investimento

È quindi necessario superare le «gestioni a costo» della solidarietà fiscale per trasformarle in «gestioni a investimento», misurando i risultati, gli esiti, il costo/efficacia. A questo scopo servono nuove «responsabilità sociali in concorso», per ridare speranza a chi si affaccia alla vita con mezzi insufficienti e ingiusti. Dove altri non sono riusciti, possono farcela le fondazioni di origine bancaria, perché in questi anni si sono misurate con l’innovazione, mettendo in relazione gli investimenti con i risultati, impegnandosi a valutare gli esiti e l’impatto sociale. Ad esempio, tra il 2013 e il 2016 la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo ha destinato all’infanzia quasi 4,8 milioni di euro, con capacità incrementali. La Compagnia San Paolo nel biennio 2014-2015 per la fascia 0-6 anni ha investito 3,4 milioni di euro, che con il coinvolgimento di altri attori sono diventati 5,4 milioni. Sono dimostrazioni che «cercare» vuol dire mettersi nella condizione di poter «trovare». Lo hanno riconosciuto molti esperti stranieri riuniti a Torino lo scorso febbraio per discutere dei tre anni di Transatlantic Forum on Inclusive Early Years (Tfiey Italia). Si è così potuto condividere quanto le fondazioni italiane hanno realizzato con pratiche innovative, valorizzando le condizioni giuridiche delineate dalla Costituzione all’articolo 118, quarto comma: chiede a tutti di contribuire al bene comune, con pratiche sussidiarie e generative, per affrontare solidalmente i bisogni umani. Riguardano la vita che nasce e cresce, il terreno migliore per affrontare la sfida, potendo contare sul massimo delle capacità e potenzialità. 

3.

Amministrazione di sostegno e consenso alle cure

All’amministratore di sostegno (Legge n. 6 del 2004) compete la cura degli interessi della persona priva di autonomia, sia di quelli patrimoniali che di quelli non patrimoniali, tra i quali anche il bene salute. Benchè nel decreto di nomina venga specificato dal Giudice Tutelare l’oggetto dell’incarico, l’individuazione delle responsabilità dell’amministratore di sostegno nelle specifiche situazioni non è sempre semplice e condivisa. Il Convegno «Amministrazione di sostegno e consenso alle cure in salute mentale, nelle dipendenze e alla fine della vita» (Portogruaro, 11 marzo 2016) ha proposto all’attenzione di professionisti dei servizi sociali e sanitari, avvocati e volontari del settore, due temi, mettendo a confronto esperti di diritto, medicina e bioetica, alla luce dei recenti orientamenti giurisprudenziali ed etici e alle prassi del Tribunale di Pordenone.

La prima sessione ha affrontato il tema del rapporto tra incapacità e autodeterminazione. Come garantire alle persone con disabilità psichica o dipendenza patologica il diritto alla salute, nel rispetto della loro autonomia e libertà di scelta? In quali situazioni l’amministratore di sostegno può rappresentare una risorsa e con quali poteri di intervento?

Sono intervenuti:

  • Tiziano Vecchiato, direttore della Fondazione Zancan, Padova
  • Angelo Pancheri, responsabile del Centro di Salute Mentale di Portogruaro, Azienda Ulss10
  • Diego Saccon, direttore del Servizio per le dipendenze, Azienda Ulss 10
  • Francesco Pedoja, presidente del Tribunale di Pordenone

Ha coordinato Roberta Favretto, della Camera Avvocati di Portogruaro

La seconda sessione si è concentrata sul tema delle scelte sui trattamenti sanitari nella fase finale della vita (ventilazione, idratazione e alimentazione), quando la persona non è in grado di esprimere la propria volontà. Quali interventi possono ragionevolmente essere intrapresi dai medici? Quale ruolo possono avere i familiari? È necessaria la nomina di un amministratore di sostegno?

Sono intervenuti:

  • Enrico Furlan, ricercatore in bioetica, Università di Padova
  • Andrea Pizzolitto, medico di medicina generale
  • Nilla Verzolatto, presidente del comitato etico dell’Azienda Ulss 10
  • Francesco Pedoja, presidente del Tribunale di Pordenone

Ha coordinato Chiara Drigo, Sportello per l’Amministrazione di Sostegno di Portogruaro

Il convegno è stato promosso dall’Associazione per l'amministrazione di sostegno ADS Rete di solidarietà, l’Associazione Italiana Tutela della Salute mentale (Aitsam), la Camera avvocati di Portogruaro e la Federazione di comunità Santo Stefano Onlus, con il patrocinio dell’Azienda Ulss10 Veneto Orientale.

4.

Lotta alla povertà a Cremona

Valutazione multidimensionale del bisogno dei membri del nucleo familiare; costruzione di un patto con i servizi; presa in carico complessiva del nucleo, con il coordinamento di più interventi contemporanei in modo globale e olistico. E ancora inclusione attiva, empowerment, approccio personalizzato e integrati, équipe multidisciplinare. Sono queste le parole-chiave che si ripetono all’interno delle «Linee guida per la predisposizione e attuazione dei progetti di presa in carico del Sostegno per l’inclusione attiva» approvate in Conferenza Unificata, 

ovvero le «dritte operative» che il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha fornito ai servizi per realizzare già nel 2016 la prima misura nazionale di contrasto alla povertà. Tale misura, al momento ancora senza nome, nella sua fase di start-up ha il profilo di un’estensione all’intero territorio nazionale del Sia-Sostegno per l’inclusione attiva, già sperimentato nelle 12 città con più di 250mila abitanti e caratterizzato dal «doppio binario»: un sostegno al reddito accanto a una presa in carico integrata della persona, che mira alla fuoriuscita dalla condizione di povertà.

La presa in carico integrata è la chiave di volta del nuovo modello, ma è più facile a dirsi che a farsi.

Chi ci sta provando è la Provincia di Cremona, che ha puntato sulla presa in carico integrata nel contrasto all’esclusione sociale e lavorativa, in collaborazione con i servizi sociali e le aziende sociali dei Comuni della provincia e con la Fondazione Zancan. Cosa insegna al resto d’Italia l’esperienza di Cremona, in vista dell’allargamento del Sia?

Innanzitutto la consapevolezza che la presa in carico integrata non si fa per decreto o con delle Linee guida, ma deve essere preceduta da una formazione a tappeto di tutti gli operatori. Che devono avere un panorama di tutto il quadro, sia del mercato del lavoro sia degli strumenti di sostegno al reddito, perché «fare rete» non significa far sedere attorno a un tavolo delle persone, ma creare collegamenti e sinergie, anche fra le risorse; tutti gli operatori devono parlare una lingua comune, facendo pulizia dei reciproci pregiudizi che esistono; tutti gli operatori devono imparare le competenze trasversali legate a un buon ascolto, che in tanti casi potrebbe anche consentire di capire che l’attivazione di un sostegno economico non è necessaria. In secondo luogo ci vogliono tempo e numeri: gli operatori hanno il dovere e la necessità di confrontarsi continuamente e questo non è per nulla facile quando i servizi si trovano in luoghi distinti. Infine, sarebbe forse opportuno partire da un target più circoscritto, più idoneo a una presa in carico integrata.

L’intero inserto pubblicato da Vita nel mese di marzo, è visibile al link www.fondazionezancan.it/news.

5.

A ciascuno secondo la sua capacità

Il convegno «A ciascuno secondo la sua capacità» è stato un’occasione per ripensare alle comunità e al loro modo di vivere la carità, per riflettere - usando le parole del direttore della Caritas di Trento Roberto Calzà - sulla «necessità di trovare vie nuove, capaci non solo di rispondere a dei bisogni, ma anche di creare comunità solidali, relazione costruttive e positive, percorsi di emancipazione veri, ricadute positive e benefici per tutti».

È l’ottica del welfare generativo, proposta dalla Fondazione Zancan, che riprende il concetto di «giustizia e solidarietà» chiedendo a tutti, anche ai beneficiari degli aiuti, di valorizzare i propri «talenti», evitando la deriva assistenziale così che il sistema di protezione dei più deboli sia un investimento e non solo un costo.

Il confronto è partito dal ricordo di mons. Giovanni Nervo e mons. Giuseppe Pasini - due figure portanti non solo della Caritas ma della Chiesa Italiana – dei quali si è ricordato l’anniversario del ritorno al Padre il 21 marzo.

Entrambi hanno contribuito in modo determinante a fare della Caritas uno strumento «consono ai tempi», capace di leggere e interpretare i segni e le fatiche della nostra società, di stare accanto alle persone più in difficoltà e allo stesso tempo di far maturare nelle comunità l’attenzione ai più deboli, crescendo nella carità.

Partendo dalle loro intuizioni si è ripercorso il cammino per arrivare alle modalità che oggi abbiamo di incontrare i poveri in modo amorevole e intelligente, attivando percorsi «generativi» che contribuiscano al bene comune.

L’evento, al quale hanno partecipato circa 200 persone, è stato organizzato dalla Caritas Diocesana di Trento lo scorso 5 marzo. Sono intervenuti:

  • Luigi Bressan, arcivescovo di Trento
  • Alberto Conci, docente presso il liceo «L. Da Vinci», Trento
  • Roberto Calza, direttore Caritas diocesana di Trento
  • Tiziano Vecchiato, direttore Fondazione Zancan, Padova

Alcuni contenuti della relazione di Roberto Calza e Tiziano Vecchiato sono scaricabili al link www.fondazionezancan.it/news.

6.

5 buoni motivi per donare

Da 50 anni la Fondazione è impegnata a fianco dei servizi e degli operatori che lavorano a diretto contatto con le persone, aiutandoli a fornire le migliori risposte ai bisogni dei più deboli.

È in prima linea nella lotta contro la povertà e l’esclusione sociale.

Sperimenta strumenti e soluzioni innovative per promuovere l’efficacia degli interventi.

Divulga conoscenze e promuove dibattiti culturali sui temi caldi del cambiamento sociale.

Le parole chiave che caratterizzano le sue attività: centralità della persona, umanizzazione dei servizi, integrazione, valutazione, efficacia, impatto sociale.

5 buoni motivi, e altrettanti modi per donare

1.    5xmille

codice fiscale 00286760285

2.    Conto corrente postale

IBAN IT72VO760112100000012106357

intestato a Fondazione Emanuela Zancan onlus Centro Studi e Ricerca Sociale

3.    Conto corrente bancario

IBAN (Banca Prossima) IT77P0335901600100000062910

intestato a Fondazione Emanuela Zancan onlus Centro Studi e Ricerca Sociale

4.    Donazione con carta di credito

telefonando allo 049663800

oppure on line sul sito www.fondazionezancan.it

5.    Bonifico permanente (RID)

telefonando allo 049663800

Le donazioni sono deducibili nel limite del 10% del reddito dichiarato, nella misura massima di 70.000,00 euro annui art. 14, c. 1, Decreto legge n. 35 del 2005, convertito nella Legge n. 80 del 2005; circolare Agenzia delle entrate n. 39 del 19.08.2005.

Per maggiori informazioni sulle modalità di donazione scrivi a: fz@fondazionezancan.it

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