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Contrastare l’allontanamento di un bambino dalla sua famiglia si può: i risultati dello studio Risc |
Ci sono motivazioni cliniche, professionali, etiche ed economiche per evitare l’allontanamento di un minore dalla famiglia, anche in presenza di casi complessi. Lavorare con il nucleo familiare, attraverso un piano personalizzato e una verifica dei risultati, si dimostra una scelta vincente, certamente meno traumatica per il bambino, più utile ai genitori e meno onerosa rispetto, ad esempio, all’inserimento in comunità. Lo dimostra lo studio «Risc – Rischio per l’infanzia e soluzioni per contrastarlo», realizzato dalla Fondazione «Emanuela Zancan», commissionato dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Il rapporto relativo alla seconda annualità è stato pubblicato nella collana «Quaderni della ricerca sociale» (n. 18) ed è disponibile gratuitamente nei siti www.lavoro.gov.it e www.fondazionezancan.it (sezione download). Lo studio. La seconda annualità dello studio Risc ha coinvolto 6 regioni e 16 gruppi di lavoro: uno in Abruzzo, due in Basilicata, due in Emilia-Romagna, uno in Piemonte, sei in Toscana, quattro in Veneto. Tutte le regioni coinvolte nella prima annualità hanno proseguito la sperimentazione, con allargamento territoriale in Toscana.
In 9 mesi, da giugno 2011 a febbraio 2012, sono stati coinvolti 114 minori a rischio di allontanamento: 52 femmine e 62 maschi, dai 3 mesi ai 17 anni, con un’età media di 10 anni, 94 italiani e 20 stranieri. Quasi la metà in età della scuola primaria (6-10 anni), il 21% in età della scuola secondaria di I grado (11-13), un quarto in età della scuola secondaria di II grado (14-17). Una minoranza in età prescolare (0-5 anni).
I problemi dei bambini e delle famiglie. La sperimentazione prevedeva una prima fase di valutazione multidimensionale delle condizioni del minore. La valutazione (realizzata su 107 bambini) ha evidenziato alcune criticità: una compromissione nelle capacità di progettazione e di esecuzione di compiti, nell’alimentazione, nelle abilità nel calcolo, nella lettura e nella scrittura. Ma le difficoltà maggiori hanno riguardato l’area «socioambientale relazionale». Le condizioni affettive e relazionali erano quasi sempre fortemente compromesse, in modo particolare i rapporti affettivi primari con i genitori e le relazioni amicali. La valutazione ha rilevato l’incapacità dei genitori ad assumersi responsabilità di fronte ai bisogni fondamentali dei figli. Per questo gli operatori (assistenti sociali, educatori, neuropsichiatri, psicologi, pediatri…) hanno dovuto, in tre quarti dei casi, integrare le funzioni genitoriali.
Complessivamente, si è tratto di bambini in condizioni di grave deprivazione, con genitori poco capaci di esserlo, in famiglie prive di sostegno, spesso sotto osservazione da parte dei servizi sociali, sanitari ed educativi.
La sperimentazione. In questo contesto si inserisce la sperimentazione che ha previsto, dopo la fase di valutazione, la redazione di un piano operativo personalizzato (per 95 bambini, 83%). Nel piano sono stati definiti obiettivi, risultati attesi e strategie di azione. Al suo interno sono stati individuati 533 fattori osservabili di esito, cioè i cambiamenti misurabili che, anche se piccoli, evidenziano se e come si sta modificando la situazione. Dopo circa 3 mesi i bambini sono stati rivalutati ed è stato redatto un secondo piano.
Per l’analisi dell’andamento e dei risultati è stato utilizzato lo «schema polare», ideato dalla Fondazione, che permette di visualizzare in un unico diagramma i valori che misurano la condizione di bisogno del minore, prima e dopo gli interventi realizzati. A questo si è aggiunta l’analisi dei fattori osservabili e, in terza istanza, un confronto tra gli esiti delle due valutazioni.
I risultati. I punteggi medi sono migliorati in ogni area osservata. I risultati maggiori sono stati realizzati proprio nell’area socioambientale e relazionale, quella più critica e che poteva determinare l’allontanamento. Il 58% dei bambini ha registrato un cambiamento positivo delle proprie capacità relazionali. Il punteggio è aumentato in media dell’8,5%. I cambiamenti maggiori si sono registrati nelle sub-aree «autonomie», «apprendimento» e «capacità cognitive». Sono esiti che consentono di pensare a obiettivi più ambiziosi, per affrontare i problemi relativi alle responsabilità genitoriali. Per questo serve un lavoro professionale strutturato con madri e padri.
La valutazione dei fattori osservabili ha dimostrato che nel 79% dei casi gli obiettivi fissati sono stati raggiunti, completamente o in parte. In alcuni casi il miglioramento è stato superiore alle attese (5%). In un caso su 5 non si è verificato il cambiamento atteso e la situazione nel 3,8% dei casi è peggiorata. I risultati maggiori sono stati raggiunti con la frequenza scolastica: 60% in parte, 40% completamente.
Lo studio prevedeva anche un’analisi dei costi relativi agli interventi realizzati. Per i casi più gravità, il lavoro all’interno della famiglia ha un costo 10 volte inferiore a quello del ricovero in comunità educativa e 35 volte meno rispetto all’inserimento in comunità terapeutica-riabilitativa. Un’affidabile capacità di identificazione della soglia di rischio per decidere se allontanare o meno un bambino risponde a ragioni cliniche, professionali ed etiche. Nel contempo risponde anche a implicazioni economiche, oggi particolarmente rilevanti per gli enti su cui grava la responsabilità di tutelare i minori e la spesa degli interventi fuori-famiglia. I risultati descritti sono stati verificati sul campo, in condizioni ordinarie di lavoro, grazie alla preziosa collaborazione di molti operatori senza incentivi economici e altre facilitazioni. La responsabilità di governo tecnico e strategico dei servizi territoriali potrà essere meglio esercitata implementando soluzioni verificate sul campo come quella appena descritta. Sarebbe da irresponsabili non utilizzarle se la valutazione di affidabilità e sostenibilità clinica ed economica sono convincenti e di provata efficacia, dopo avere valutato e compreso le condizioni di utilità e sostenibilità professionale ed economica.
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Il welfare generativo e il contributo degli assistenti sociali |
La crisi economica ha portato all’emersione di nuovi bisogni e a un numero crescente di persone in difficoltà. Anziani, bambini, intere famiglie si rivolgono ai servizi in cerca di aiuto. Di fronte a questo gli assistenti sociali non restano a guardare, ma cercano nuove vie per dare risposte più efficaci a una platea più ampia di utenti. Di questo si è discusso a Verona nel corso del convegno «Verso un welfare di re-investimento: l’apporto del servizio sociale nel Veneto», organizzato dall’Ordine degli Assistenti Sociali del Veneto, dalla Fondazione «Emanuela Zancan» e dal Comune di Verona.
Ma chi sono e quanti sono gli assistenti sociali veneti? Gli iscritti all’Albo regionale al 30 settembre 2012 sono 2.632: 2.446 femmine e 186 maschi. A Belluno sono 115; a Padova 143; a Rovigo 103; a Treviso 483; a Venezia 507; a Verona 449; a Vicenza 512. Altri 21 sono da fuori regione. L’Ordine veneto ha commissionato all’Università di Verona una ricerca quali-quantitativa che ha interessato l’intero corpo professionale. Hanno risposto in 1.106. La maggior parte lavora nel settore pubblico (72,18%, 798 iscritti), 214 nel privato (19,33%), 24 sono liberi professionisti (2,17%) e 62 disoccupati (5,6%). Comune e aziende sanitarie sono i principali datori di lavoro, rispettivamente per 371 e 311 assistenti sociali. Altri 56 sono impiegati nei centri servizi e 50 in cooperative. In larga parte (371) lavorano in servizi di base e 127 in servizi residenziali. Dei 898 rispondenti, 795 hanno lavoro a tempo indeterminato (84,4%).
La professione sta vivendo, come la società, una serie di trasformazioni cui non viene prestata sufficiente attenzione, stretta tra la riduzione delle risorse e l’emersione di nuovi e più complessi bisogni sociali. Perdita e precarizzazione del lavoro, cambiamento delle strutture familiari, invecchiamento, nuove forme di povertà hanno dato vita a una «nuova questione sociale» che adesso va gestita e affrontata con nuove regole e modalità professionali. La professione fatica a riconoscersi in un sistema che risponde a queste trasformazioni dovendo applicare spesso logiche di tipo aziendale, più tese solo al risparmio che alla difesa dei diritti sociali. In questo scenario critico si inseriscono anche le difficoltà di accesso alla professione per gli assistenti sociali e l’instabilità lavorativa.
Non si può, però, restare a guardare. L’assistente sociale può contribuire attivamente alla promozione del benessere sociale. Il servizio sociale può essere promotore di un nuovo patto di solidarietà. Per fare questo bisogna riuscire ad attivare le risorse non solo delle singole persone, ma anche dei contesti in cui esse vivono.
Il nostro welfare si basa sostanzialmente sui fondamenti degli articoli 2 e 3 della Costituzione, in base ai quali ogni persona deve avere la possibilità di potendo contare sul superamento degli ostacoli e delle disuguaglianze che penalizzano i più deboli. Per raggiungere questo obiettivo non basta la solidarietà intesa come altruismo, generosità, impegno a servizio degli altri: la possibilità di riscatto non va data «per carità», ma «per giustizia». Serve quindi un cambio di paradigma e ciò richiede uno sforzo straordinario, perché bisogna mettere in grado le istituzioni non solo di raccogliere e redistribuire i proventi della solidarietà ï¬scale ma di farli fruttare.
Solo così si potrà creare un «welfare generativo», in grado di valorizzare le capacità delle persone bisognose e «rimettere in circolo» le risorse investite: la persona assistita ha il dovere di valorizzare ciò che viene messo a sua disposizione. Il suo diritto sociale è di ricevere aiuto, non solo assistenza, per poi esercitare il suo dovere di contribuire a superare i propri problemi, consapevole che le ricadute positive devono essere per sé e per tutti. «Welfare generativo» significa diventare capaci di promuovere e valutare il rendimento di tutti gli interventi messi in atto, in modo da meglio orientare la destinazione delle risorse. Infine, un welfare generativo deve essere in grado di produrre molto più lavoro a parità di risorse di welfare investite. La logica è di spendere meno in trasferimenti monetari preferendo invece l’attivazione di servizi e del lavoro necessario per garantirli. Questo permette non solo di aiutare chi ne ha bisogno, ma anche di creare nuova occupazione, potenziando la trasformazione professionale degli interventi di welfare. È quello che oggi manca di più, per passare da una spesa sociale intesa come costo ad una spesa sociale gestita come vero e proprio investimento.
Il servizio sociale è chiamato sempre più a dare risposte organiche alla complessità e alle problematicità della realtà. Per questo gli assistenti sociali chiedono a gran voce che venga promossa la ricerca in servizio sociale, in modo da dare validità scientifica alla professione. Chiedono anche che le nuove sfide poste dalla società divengano in qualche modo «oggetto di studio» già all’università, per trovare modalità di intervento che incidano efficacemente sugli attuali problemi e, parallelamente, per consentire ai nostri sistemi di governo di investire maggiormente in questa professionalità per il benessere comune.
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La Fondazione Emanuela Zancan su facebook |
La Fondazione Emanuela Zancan è su Facebook. L'obiettivo è di condividere notizie, eventi, riflessioni, informazioni. Cliccando «Mi piace» sulla sua nuovissima pagina sarà possibile essere sempre aggiornati in tempo reale su tutte le attività, commentare le news, mantenere un contatto diretto, dare suggerimenti, condividere idee…
Ai nostri lettori non bastano più la newsletter, i comunicati stampa e le news periodiche. La nuova pagina su Facebook si aggiunge alle nostre modalità di comunicazione tradizionali e ci auguriamo di riuscire in questo modo a raggiungere e coinvolgere un numero sempre maggiore di persone.
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Il volume della democrazia |
È giunta alla quarta edizione la rassegna nazionale dedicata alla saggistica politica (26-27 ottobre, Roma), promossa dalla Camera dei deputati d’intesa con l’Associazione Italiana Editori e con la collaborazione dell’Associazione librai di Roma.
Per due giorni si sono svolti incontri con gli autori e 14 tavole rotonde, discutendo novità editoriali che hanno avuto come filo conduttore il libro politico. Tra queste è stato presentato il volume di Paola Rossi «Sette paia di scarpe».
Paola Rossi è stata Segretario nazionale del sindacato unitario di categoria Sunas e primo Presidente dell’Ordine nazionale degli assistenti sociali dal 1996 al 2005.
Una sintesi del volume a cura di Tiziano Vecchiato è disponibile nell’area news del nostro sito www.fondazionezancan.it.
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Padova celebra il centenario della nascita di Lanfranco Zancan |
Il 23 novembre 1912 nasceva Lanfranco Zancan: ricercatore, militante della Resistenza, docente universitario, assessore ai lavori pubblici. Con la sua attività ha segnato la storia di Padova, contribuendo allo sviluppo economico, sociale e culturale della città. Per celebrare questa ricorrenza, il Comune, l’Università di Padova, in collaborazione con la Fondazione «E. Zancan» e con altre realtà del territorio ha organizzato il 23 novembre una giornata commemorativa.
Questa iniziativa ha rappresentato l’occasione e il mezzo per trasmettere ai giovani i valori che lo hanno animato nella sua attività scientifica, civile e politica, valori che sono fondamentali per costruire il bene comune. Preme sottolineare l’importante ruolo avuto, a fianco del prof. Egidio Meneghetti, come membro del Comitato di liberazione nazionale nella resistenza e nell’educazione ai giovani universitari, l’apporto dato alla Costituente e il contributo alla gestione della Cassa di risparmio.
Per testimoniare la persona che fu Lanfranco Zancan, monsignor Nervo condivide un ricordo personale: «Lo incontrai la prima volta nel settembre del 1944 all’Istituto di Farmacologia dell’Università di Padova. Il giorno dopo sarei andato sul Grappa, per una presenza e un aiuto spirituale ai partigiani: mi diede delle istruzioni e una somma considerevole da consegnare ai capi dei partigiani. Io giunsi lassù la vigilia del grande rastrellamento, che portò all’impiccagione di trenta giovani a Bassano del Grappa». Molti anni dopo, il sostegno e il contributo di Lanfranco Zancan furono importanti per la nascita, il 4 giugno 1964, della Fondazione intitolata alla sorella Emanuela: «Morì giovane, a quarant’anni, e noi docenti, amici e studenti della Scuola superiore di servizio sociale, volemmo ricordarla dando vita a una sede permanente di formazione e ricerca sociale» ricorda mons. Nervo. «Il fratello Lanfranco comprese il significato e il valore di questa iniziativa e, con il concorso della Cassa di Risparmio, rese possibile la costituzione del Centro di studio, formazione e ricerca sociale di Malosco, in provincia di Trento, dove, dal 1964, l’anno successivo alla morte di Emanuela, si susseguirono ogni estate numerosi seminari di studio e ricerca, con la partecipazione di studiosi e operatori di tutta Italia».
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Il futuro dei servizi e della tutela dell’infanzia |
La rivista «Studi Zancan» di novembre è un numero speciale, perché interamente dedicato a un tema centrale quale la tutela dell’infanzia, tra passato e futuro. La forma editoriale, diversamente dai numeri ordinari di «Studi Zancan» articolati in sezioni specifiche, è unitaria per dire anche simbolicamente quanto importanti siano i problemi considerati e quanto sia urgente affrontarli in modo collaborativo.
Le più recenti ricerche sociali anche in ambito europeo mettono in luce come la famiglia sia al centro di grandi trasformazioni sociali, culturali e politiche. I nuclei familiari sono esposti a una maggior vulnerabilità e la linea di confine tra agio e disagio ha contorni sempre meno definiti. È infatti in aumento il numero delle famiglie che si rivolgono ai servizi sociali, educativi e sanitari.
I servizi per l’infanzia hanno attraversato, in questi decenni, diverse fasi, passando dalla lotta all’istituzionalizzazione a una faticosa ricerca di azioni innovative, in grado di offrire risposte ai problemi, con criteri e strumenti nuovi ed efficaci. Negli ultimi venti anni la tutela dell’infanzia è passata in secondo piano nelle priorità politiche e nella riflessione, anche scientifica, pur continuando a rappresentare un nucleo di interesse, anche in ragione della crescente complessità delle fragilità familiari. Questa monografia, frutto del lavoro congiunto delle fondazioni Zancan e Paideia, ne è consapevole, evidenziando la necessità di riprendere un dibattito, dando spazio alla riflessione su nuovi e possibili investimenti. Le priorità cui rispondere non sono poche: i criteri e le condizioni di valutazione del bisogno e del rischio e della presa in carico, le strategie di intervento utili ed efficaci nel contrastare la violenza, l’abuso e il maltrattamento, la gestione della continuità genitoriale, dopo la fase di separazione dei genitori, gli strumenti e le condizioni per fare valutazione di efficacia, come effettiva tutela dei diritti del «minore».
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Strumenti di lavoro: 1 libro 1 euro |
Pur essendo tecnico il tema della monografia proposta questo mese «Valutare l'integrazione professionale» (Studi Zancan 4/2006) trova un fondamento etico nella tutela della dignità e dell’unicità della persona. Vi sono infatti due domande preliminari cui occorre rispondere: la prima relativa all’ambito dell’integrazione (tra chi?), la seconda relativa all’oggetto (su cosa?).
Nella monografia si vuole individuare quali sono le condizioni istituzionali, organizzative e gestionali che possono favorire od ostacolare la valutazione dell’integrazione professionale nei servizi alle persone, e definirne i possibili indicatori.
La rivista può essere ritirata di persona (presentando la scheda scaricabile dal sito www.fondazionezancan.it) presso la nostra sede in Via Vescovado, 66 - Padova, dal lunedì al venerdì (8.30-13.00 e 14.00-17.00).
Si può ricevere direttamente a casa, con spese a carico, a seguito di richiesta via fax (049663013) o tramite email (segreteria@fondazionezancan.it) compilando la scheda entro il 31 dicembre.
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