1.
Assistenti sociali e capacità trasformativa: l’8° corso Piaci |
La capacità trasformativa dell’assistente sociale nel lavoro con le persone anziane: è questo il tema dell’ottava edizione del corso per assistenti sociali organizzato dall’Associazione Scientifica per la Promozione dell’Invecchiamento Attivo e le Cure Integrate P.I.A.C.I., associazione costituita nel 2010 dalla Fondazione Emanuela Zancan Onlus, dal Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali (CNOAS) e dal Gruppo di Ricerca Geriatrica (GRG) di Brescia. Il corso(Bologna, 29-31 maggio) ha messo in evidenza la capacità dell’assistente sociale di promuovere cambiamento con le persone utenti dei servizi in un’ottica di welfare generativo. L’attuale modello di welfare si è rivelato incapace di dare risposte alle persone in difficoltà, siano esse anziane o minori, e alle loro famiglie. La radicata tendenza a stanziare contributi economici piuttosto che attivare servizi è il principale motivo del fallimento. Ormai è evidente che una revisione profonda della modalità di gestione delle risorse a disposizione non è più rinviabile. I trasferimenti economici non sono sostenibili e tendono a passivizzare le persone. Al contrario, i servizi rappresentano un investimento, possono rigenerare le risorse economiche, e soprattutto quelle umane e sociali, possono riabilitare e riattivare le capacità e valorizzano le capacità delle persone per «imparare ad aiutarsi da sé». Inoltre generano occupazione, promuovono responsabilità non solo personali ma anche comunitarie e trasformano i diritti-doveri individuali in diritti-doveri sociali. In questo, il ruolo dell’assistente sociale è fondamentale, a patto che accetti la sfida di agire in modo più responsabile e responsabilizzante. Possiamo chiedere alle persone utenti di responsabilizzarsi solo se non facciamo i burocrati, ma accompagniamo le persone per far rendere il capitale umano. Quello che si chiede alla professione è un cambio di paradigma. Non si tratta semplicemente di aggiungere delle tecniche alle nostre competenze, ma di avviare piccoli-grandi cambiamenti che possono trasformare: le buone intenzioni in effettivi risultati, la dipendenza dall’istituzione in forza di negoziazione, la stessa immagine della professione, la cultura della beneficenza e assistenzialismo in cultura dei diritti e delle responsabilità. Concretamente significa: razionalizzare gli interventi, definendo precisi obiettivi, dotarsi di strumenti per misurare i risultati ottenuti, valutare gli esiti per accumulare saperi e costruire evidenze, adoperare il patrimonio professionale come mezzo di comunicazione trasparente e argomentata. Una seconda edizione del corso è prevista a Roma nei giorni 29-30-31 ottobre 2013, per rispondere alle tante richieste di approfondimento sul tema della capacità trasformativa professionale. |
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Servizi per la prima infanzia: risorse professionali ed economiche |
Nei giorni 21-22 maggio a Padova la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo ha ospitato il seminario sul tema «Servizi per la prima infanzia: risorse professionali ed economiche» organizzato dalla Compagnia San Paolo di Torino e dalla Fondazione Zancan nell’ambito del progetto internazionale del TFIEY - Transatlantic Forum on Inclusive Early Years. L’incontro nazionale fa seguito al seminario di Torino focalizzato sui temi dell’accesso ai servizi per la prima infanzia. Hanno partecipato ricercatori delle Università di Padova, Milano, Torino, Verona, ricercatori di Banca d’Italia, Istat, referenti di ministeri e regioni ed esperti sui temi delle risorse economiche e professionali. I lavori seminariali nascono dai dati raccolti dalla Fondazione Zancan nel Quaderno 2/2013 della serie «Investire nell’infanzia è coltivare la vita». Evidenziano l’importanza di considerare i dati di offerta e spesa e la loro ripartizione nei diversi territori. Aiutano a capire l’equità distributiva e la capacità di trasformare le risorse in risposte per l’infanzia. Emergono ancora una volta le grandi difformità e l’incapacità di ridurre le disuguaglianze territoriali. I problemi sono più evidenti nelle regioni svantaggiate, ma si riproducono sistematicamente anche all’interno degli stessi territori regionali. Possono essere letti come criticità ma anche in modo positivo, quando i deficit di finanziamento e di offerta possono essere trasformati in traguardi da raggiungere con la programmazione locale, i piani di zona e altre forme di investimento in infrastrutture di servizio adeguate ai bisogni. Negli ultimi anni la spesa complessiva impegnata per asili nido (sia strutture comunali sia contributi e integrazioni a rette) ha registrato un costante aumento (+19,6% tra il 2007/2008 e il 2010/2011), così come il numero degli utenti (+22% nello stesso periodo). La spesa media per utente è aumentata tra il 2007/2008 e il 2008/2009, diminuendo nel biennio successivo. Tendenza inversa ha invece registrato la percentuale di compartecipazione degli utenti, diminuita tra il 2007/2008 e il 2008/2009 e aumentata nel biennio successivo. Nel triennio 2008-2011, a fronte di una spesa media per utente decrescente, le famiglie sono state chiamate a compartecipare al costo dei servizi in misura crescente. È un andamento che non trova giustificazioni: i vantaggi dovrebbero essere ripartiti equamente tra gestori e fruitori, visto che stiamo parlando di servizi pubblici e di pubblica utilità. Si è verificato invece un andamento a «travaso di contribuzione»: allo sforzo di incremento della capacità di offerta non ha corrisposto una minore quota di compartecipazione da parte delle famiglie. Chi ci ha guadagnato? È importante considerare questo dato, visto che evidenzia che si possono ottenere vantaggi investendo nei servizi per l’infanzia, in termini occupazionali, per i bambini con maggiori difficoltà e i loro genitori. Il seminario ha considerato la situazione italiana in confronto con altri paesi, europei ed extraeuropei visto che il problema non è solo italiano. Anche le sue soluzioni non possono chiudersi dentro un recinto nazionale, visto che i problemi della prima infanzia riguardano tutti, tutte le culture, tutte le amministrazioni, tutti i genitori. È un confronto che ci vede in affanno, non necessariamente perdenti, ma certamente sfidati dalla capacità di altri paesi di fare di più e meglio per i propri bambini. Nel 2010 la spesa per l’infanzia in Europa era intorno all’8% del Pil mentre in Italia era ancora al 4,6%. La spesa per trasferimenti e servizi a bambini e famiglie in Italia era l’1,3% (0,7% trasferimenti e 0,6% servizi), contro il 2,3% del Pil (1,5% trasferimenti e 0,8% servizi) in Europa. A questi dati di partenza si aggiungono tutti gli apporti degli esperti partecipanti che hanno analizzato i problemi sotto vari punti di vista, non ultimo quello del ruolo dei professionisti dedicati alla prima infanzia e al ruolo che gli stessi possono giocare anche nell’invertire condizioni di svantaggio di bambini appartenenti a famiglie a rischio di esclusione e costruire le premesse per percorsi di crescita e apprendimento con effetti duraturi nel tempo. Anche questi contributi, dopo gli approfondimenti e le integrazioni necessarie, saranno diffusi a stampa con il Quaderno n. 2 «Idee condivise». |
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Non solo bulli… come crescono i ragazzi di oggi? |
È entrata nel vivo la fase di rilevazione nell’ambito dello studio «CRESCERE» - acronimo di Costruire Relazioni ed Esperienze di Sviluppo Condivise con Empatia, Responsabilità ed Entusiasmo,- realizzato dalla Fondazione Emanuela Zancan onlus e dal De Leo Fund, insieme alla Fondazione Cassa di risparmio di Padova e Rovigo. Lo studio ha l’obiettivo di monitorare le condizioni positive di crescita e di sviluppo dall’infanzia verso l’età adulta, osservando, ad esempio, come si studia, si cresce, si affrontano i compiti di sviluppo, si vive in famiglia, si gestiscono i problemi di apprendimento e di salute, come ci si prepara al lavoro, come si partecipa e si diventa grandi. Al progetto collabora la Città della Speranza, con specifici approfondimenti. Il campione coinvolto è di circa mille ragazzi di 11 anni residenti nella provincia di Padova, estratti con una procedura di campionamento casuale. I rilevatori stanno contattando le famiglie dei ragazzi (che hanno precedentemente ricevuto una lettera di invito) e stanno effettuando le interviste. L’adesione è volontaria, ma data la rilevanza sociale dello studio, che non ha eguali in Italia, è particolarmente importante che le persone contattate diano il proprio consenso, anche per i vantaggi che potranno avere. Mentre a Padova cominciano le rilevazioni, si lavora per un ampliamento dello studio con il coinvolgimento del Comune di Rovigo. Lo studio Crescere è di tipo longitudinale: prevede rilevazioni in anni successivi e accompagnerà i ragazzi fino al raggiungimento della maggiore età. Questo permetterà non solo di «fotografare», ma anche di osservare i cambiamenti in una fase così importante nella vita e di capire come promuovere una crescita positiva. I risultati del progetto saranno discussi in momenti pubblici con tutti i soggetti interessati. Lo studio – che si avvale di un comitato scientifico composto da esperti di varie discipline (statistici, demografi, psicologi, neuropsichiatri infantili, metodologi, sociologi, pedagogisti, pediatri, educatori) – gode della collaborazione delle Conferenze dei sindaci delle Ulss 15, 16 e 17. |
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La delibera del Veneto sui Lea domiciliari favorisce la burocratizzazione e la standardizzazione delle risposte |
La delibera regionale del Veneto di revisione dei Lea domiciliari in ambito sociosanitario è un tentativo di messa in sicurezza della spesa regionale di welfare, dopo tentativi analoghi fatti in Lombardia e Piemonte per evitare, come in quest’ultimo caso, il commissariamento della sanità da cui, come sappiamo, non sono esenti le Regioni del Nord. La strategia è semplice: trasformare in una procedura burocratica la responsabilità clinica e professionale di valutare i bisogni e le capacità delle persone e delle famiglie e meglio aiutarle. Gli operatori in questo modo si vedono ridotti i gradi di libertà necessari a personalizzare gli interventi e renderli efficaci. La soluzione proposta, inoltre, genera ulteriori costi di amministrazione. Un altro problema presente in analoghe esperienze è la standardizzazione delle risposte, che quindi fanno fatica a risultare appropriate, cioè realmente utili alle persone e alle famiglie che convivono quotidianamente con gravi problemi. C’è poi un’ulteriore questione. Non riguarda solo questo provvedimento, ma il modo in cui le Regioni stanno interpretando il proprio mandato costituzionale in materia sociosanitaria: sono enti di governo o enti di gestione? Se vogliono essere enti di gestione finiscono per farlo male, in modo burocratico, agendo al di fuori del proprio mandato e mortificando altre titolarità istituzionali, in particolare i Comuni e i servizi sociosanitari territoriali. Anche a causa di questo sta emergendo da più parti un dubbio: a cosa servono Regioni così? Quando vent’anni fa si è voluto accelerare verso il regionalismo e il federalismo non credo si puntasse a questi risultati ma a ben altro. Non basta quindi chiedersi se le Province sono enti inutili: è un problema che riguarda tutte le istituzioni, che devono domandarsi se sono a servizio dei cittadini o di se stesse, e quindi meno invasive e più capaci di governare rispettando e valorizzando le persone e le famiglie. |
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Non autosufficienza: una regione, tante situazioni |
In una scala tra 0 e 1 (dove 1 rappresenta il risultato migliore), quella Grossetana è la zona-distretto con la maggiore capacità di presa in carico delle persone anziane non autosufficienti, arrivando a un punteggio di 0,80. Seguono la Bassa Val di Cecina (0,78) e altre tre zone (Valdinievole, Piana di Lucca e Pratese) con lo stesso punteggio di 0,72, Valdarno (0,66), Lunigiana (0,65), Pisana (0,60). Le zone meno performanti sono la Val di Chiana Senese (0,56) e Firenze che chiude la classifica con lo 0,47. Questi alcuni dei risultati di una ricerca realizzata dalla Fnp-Cisl Toscana in collaborazione con la Fondazione Zancan, mirata a misurare la capacità di risposta delle zone-distretto rispetto alla presa in carico delle persone anziane non autosufficienti. In Toscana nonostante le difficoltà di tipo economico, i tagli dei trasferimenti e l’azzeramento del Fondo Nazionale, sono riusciti a mantenere il Fondo regionale per la non autosufficienza, anche se è evidente che le risorse sono inadeguate a rispondere ai bisogni dei cittadini non autosufficienti. L’indagine, tuttavia, evidenzia che le performance sono migliorabili e che, a parità di risorse, è possibile fare qualche sforzo in più per migliorare la capacità di presa in carico. Le politiche sociosanitarie e il sistema dei servizi si reggono sulla responsabilità congiunta di istituzioni e soggetti della società civile. E se le prime sono titolari delle funzioni di governo e di amministrazione, i secondi sono sempre più parte attiva nella ricerca di risposte ai bisogni del territorio. Ma per evitare che la partecipazione rimanga un fatto meramente formale occorre che la società civile acquisisca e rafforzi le proprie competenze tecniche su governo dei servizi sociosanitari, qualità ed efficacia delle risposte, capacità di lettura dei bisogni delle fasce più deboli della popolazione. Da questa consapevolezza è nato il percorso di ricerca della Fnp toscana, che si è articolato in tre fasi, ognuna delle quali ha avuto l’obiettivo di porre l’attenzione sui tre elementi fondanti il modello disegnato dalla Legge regionale sulla non autosufficienza: i Punti Insieme, che hanno la funzione di garantire ai cittadini l’accesso al sistema dei Servizi; le Unità di Valutazione Multidisciplinare (UVM), che rappresentano il punto di accoglienza ed elaborazione della risposta al bisogno; i percorsi di presa in carico per le persone anziane non autosufficienti, con particolare riferimento alle situazioni di emergenza-urgenza e di continuità assistenziale. La rilevazione, condotta fra ottobre 2012 e maggio 2013, ha focalizzato l’attenzione su 10 delle 34 zone-distretto della Toscana. Dopo aver considerato gli aspetti singolarmente, l’indagine ha guardato in modo complessivo alla capacità delle zone di prendere in carico le persone anziane non autosufficienti del loro territorio. L’intero comunicato stampa e una sintesi dei risultati sono visibili al sitowww.fondazionezancan/news. |
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Il Csv di Padova intitola una sala a mons. Nervo |
La sala riunioni della nuova sede del Csv di Padova è stata intitolata a mons. Giovanni Nervo. È il primo riconoscimento ufficiale della città di Padova a don Giovanni, fondatore della Fondazione Zancan, scomparso lo scorso marzo. Che il Csv abbia sentito il bisogno di dedicare una sala della sua nuova sede a monsignor Nervo è un segno della stima e dell’apprezzamento per l’impegno da lui sviluppato in favore del volontariato. Questa valorizzazione da parte di don Giovanni ha tre radici storiche. La prima: ha organizzato come presidente Caritas il primo convegno nazionale sul volontariato nel settembre del 1975 a Napoli, presenti 400 volontari rappresentanti di 150 organizzazioni di volontariato nazionali. Da allora il volontariato divenne un fenomeno di importanza nazionale. Inoltre, Nervo ha percepito come la sua missione fosse monitorare il volontariato italiano perché mantenesse la propria identità: di servizio gratuito, di promozione e di tutela dei diritti dei poveri e degli ultimi, di stimolo alla giustizia. Infine, la sua autorevolezza proveniva dalla sua testimonianza di vita. È stato sempre e solo preoccupato del bene comune, della giustizia sociale e della promozione dei più deboli. La sua vita è stata un volontariato a tempo pieno. |
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Ultime pubblicazioni: 1. L'amministrazione di sostegno in Italia dopo la legge n. 6/2004 2. Servizio sociale e lavoro sociale: questioni disciplinari e professionali |
Il volume «L'amministrazione di sostegno in Italia dopo la legge n. 6/2004» (a cura dell’Associazione Amministratore di Sostegno Onlus e della Fondazione E. Zancan Onlus) nasce dal desiderio di conoscere quale impatto abbia avuto l’istituto dell’Amministrazione di sostegno – introdotta con la legge n. 6 del 9 gennaio 2004 – nei procedimenti e provvedimenti relativi all’individuazione di efficaci misure di protezione giuridica delle persone fragili. Contenuti Presentazione. Introduzione 1. Il quadro generale: amministrazioni di sostegno, interdizioni e inabilitazioni (Le amministrazioni di sostegno. Interdizioni e inabilitazioni, procedimenti definiti. Interdizioni e inabilitazioni, procedimenti definiti con sentenza) 2. Confronto tra amministrazioni di sostegno e interdizioni inabilitazioni (Amministrazioni di sostegno aperte e procedimenti di interdizione e inabilitazione definiti. Amministrazioni di sostegno aperte e procedimenti di interdizione e inabilitazione definiti con sentenza. Procedimenti di interdizione e inabilitazione definiti e definiti con sentenza) 3. Caso regionale: il Veneto (La situazione della Regione Veneto. Confronto tra amministrazioni di sostegno e interdizioni inabilitazioni su scala regionale. Confronto tra amministrazioni di sostegno e interdizioni inabilitazioni a livello locale) 4. Gli interventi regionali in materia (Atti legislativi. Atti amministrativi) 5. Etica della persona nell’amministratore di sostegno: una nuova lettura antropologica (Riflessioni sulla legge sull’amministrazione di sostegno. Alcune domande) Pubblicazioni sull’argomento Servizio sociale e lavoro sociale: questioni disciplinari e professionali, a cura di Milena Diomede Canevini e Annamaria Campanini (ed. Il Mulino, Bologna) è il frutto della ricerca di alcuni fra i maggiori esperti italiani e internazionali del servizio sociale e delle professioni sociali, si propone di colmare il vuoto esistente nella letteratura del servizio sociale del nostro paese intorno ai nessi fra lavoro sociale, il social work, e servizio sociale, e di dare risposta alle questioni sorte nel tempo per la definizione delle rispettive caratteristiche disciplinari e professionali. In un confronto serrato di diversi approcci teorici e con padronanza delle criticità interpretative, gli autori chiariscono i termini da un punto di vista epistemologico e storico-semantico, collocando l’analisi entro l’evoluzione storica dei processi di modernizzazione, dei sistemi di welfare, e dei cambiamenti nei paradigmi delle scienze umane e sociali. Viene indagata e dimostrata la specificità del servizio sociale italiano, così come delineata sin dal secondo dopoguerra, ponendola in relazione con il social work europeo e internazionale secondo un’ottica legata alle esperienze e alle ricerche, ma con ragionati elementi di prospettiva. Il volume evidenzia la collocazione del servizio sociale fra le professioni sociali, presentate entro il sistema dei servizi sociali, offre un contributo originale sui suoi contenuti etici e deontologici e fa il punto sulla situazione della formazione universitaria degli assistenti sociali e dei social workers. Contenuti Presentazione (Tiziano Vecchiato). Introduzione (Milena Diomede Canevini e Annamaria Campanini). Parte prima. Sistemi di welfare e social work: uno sguardo europeo (Walter Lorenz). Definizione, sfide e prospettive del servizio sociale in Europa e a livello internazionale (Annamaria Campanini). Parte seconda. Il sistema dei servizi sociali e le professioni sociali (Maria Dal Pra Ponticelli). Le professioni sociali: organizzazioni e regole (Milena Diomede Canevini). Parte terza. Servizio sociale e lavoro sociale: un’indagine storico-semantica (Francesco Villa). Conoscenze saperi e identità: spunti di riflessione sul servizio sociale (Silvia Fargion). Epistemologia ed etica: radici di azione e di riflessione (Italo De Sandre). Parte quarta. Etica e deontologia nel servizio sociale tra storia e welfare (Milena Diomede Canevini). Il servizio sociale nel contesto attuale (Elisabetta Neve). Il servizio sociale come livello essenziale di assistenza (Tiziano Vecchiato). La formazione al servizio sociale in Italia e in Europa: aspetti storici e prospettive (Annamaria Campanini). Riferimenti bibliografici. |
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strumenti di lavoro: 1 libro 1 euro |
La proposta di questo mese è dedicata all’accreditamento dei servizi sociosanitari. Già nel 2001 il tema appariva decisivo per il futuro dei servizi alla persona nel nostro paese considerando la funzione di garanzia e di tutela della salute delle persone che esso svolge. Tratti comuni a tutti gli articoli contenuti nella monografia (Studi Zancan 5-6/2001) paiono essere: una concezione esigente dell’accreditamento, la netta distinzione tra condizioni che consentono l’autorizzazione e condizioni necessarie per l’accreditamento, la volontà di estendere il campo di attenzione dai requisiti procedurali e di processo agli esiti, la convinzione che i livelli di integrazione sociosanitaria debbano rientrare tra i criteri di accreditamento. La rivista può essere ritirata di persona (presentando la scheda scaricabile dal sito www.fondazionezancan.it) presso la nostra sede in Via Vescovado, 66 - Padova, dal lunedì al venerdì (8.30-13.00 e 14.00-17.00). Si può ricevere direttamente a casa, con spese a carico, a seguito di richiesta via fax (049663013) o tramite email (segreteria@fondazionezancan.it) compilando sempre la scheda. La richiesta va effettuata entro il 31 luglio 2013. |
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