Plauso della Fondazione Zancan alla linea indicata dal governo. Vecchiato: “È un welfare che va oltre l’assistenzialismo, che favorisce il passaggio dai diritti soltanto individuali ai diritti realmente sociali”
“Le scelte del governo vanno nella direzione che indichiamo da almeno due anni. Si inizia a considerare il welfare non come un costo, ma come un investimento, per rigenerare le risorse a disposizione, coinvolgendo attivamente le persone aiutate”. Così Tiziano Vecchiato, direttore della Fondazione Emanuela Zancan, commenta gli orientamenti del governo annunciati ieri dal ministro Poletti.
È molto positivo affermare “nessuno a casa a far niente” insieme con la necessità che le persone che ricevono aiuti e sussidi, compresi i cassintegrati, si sentano “impegnate anche moralmente” a moltiplicare la solidarietà nella comunità locale. “Sosteniamo da tempo questa linea – precisa il direttore Vecchiato -. L’abbiamo proposta nei rapporti sulla lotta alla povertà in Italia (‘Vincere la povertà con un welfare generativo’, nel 2012 e ‘Rigenerare capacità e risorse’, nel 2013). Ogni aiutato può infatti contribuire a rigenerare l’aiuto ricevuto e destinarlo a valore sociale”.
È la logica del welfare generativo, che dice alla persona “non posso aiutarti senza di te”, che promuove l’attivazione delle risorse personali. Non è mera “restituzione dell’aiuto ricevuto” ma “generazione di valore, in forme dirette, come con il microcredito, o indirette, basate su lavoro volontario da destinare a utilità sociale”.
È un welfare che va oltre l’assistenzialismo, che favorisce il passaggio dai diritti soltanto individuali ai diritti realmente sociali, cioè a dividendo sociale. “Ogni aiutato che valorizza le proprie capacità è e può diventare moltiplicatore di valore. Un diritto infatti si trasforma da individuale a sociale quando genera benefici per la persona e per la comunità”.
Ma la possibilità di un lavoro volontario dei cassintegrati pone anche dei rischi, come quello che si trasformi in precariato stabile o nuovo clientelismo. “Non ne abbiamo bisogno – precisa Vecchiato -, perché entrambi umiliano le persone e non producono socialità inclusiva, capace di rigenerare le risorse e ridare speranza”.
E conclude: “Abbiamo di fronte scenari inediti: all’orizzonte ci sono nuovi modi di essere società, più solidali, ben oltre i diritti soltanto individuali. Abbiamo bisogno di imparare a farli diventare diritti a corrispettivo sociale. È nuovo valore a disposizione, prezioso e necessario, a vantaggio soprattutto delle nuove generazioni, che più di tutti hanno pagato gli effetti della crisi”.
(Redattore Sociale)