Un terzo delle pensioni sociali erogate dall’Inps è destinato a famiglie con una ricchezza netta superiore a 202mila euro. Un assegno sociale ogni cinque arriva invece a nuclei con una ricchezza superiore a 301mila euro. A beneficiarne di questo tipo di prestazioni, in sostanza, se anche non si tratta di veri “benestanti” non si può nemmeno dire siano persone in stato di bisogno: la ricchezza media delle famiglie italiane, tra case e attività finanziarie di vario tipo, ammonta infatti a 356mila euro.
Questa “distorsione” ha un costo in termini di risorse sprecate: 1,25 miliardi ogni anno per i circa 240mila assegni sociali percepiti dalle famiglie con più di 202mila euro. Anche guardando alle integrazioni al minimo delle pensioni da lavoro – circa 3,7 milioni in tutto, cioè gran parte delle pensioni “sotto i mille euro al mese” – non va meglio: 1 miliardo e mezzo di spesa è destinata a “integrare” assegni a chi ha una ricchezza superiore a 215mila euro.
L’analisi è contenuta nel rapporto povertà della Fondazione Zancan (Welfare generativo. Responsabilizzare, rendere, rigenerare, Il Mulino) e si basa sui dati dell’indagine campionaria sui bilanci delle famiglie italiane 2012. “è evidente che una parte rilevante della spesa per le pensioni assistenziali è destinata a soggetti che non sono a rischio di povertà – spiega Tiziano Vecchiato, direttore della Fondazione Zancan -. Questi trattamenti vengono erogati per diritto a chi non me ha bisogno, visto che viene valutato il suo reddito e non il patrimoni o di cui dispone. Ma così si determina una perdita di efficacia redistributiva delle pensioni assistenziali e si conforma l’inefficienza di questo comparto della spesa sociale”.
Il problema delle pensioni sociali erogate a soggetti che potrebbero non avere le caratteristiche per riceverle si collega al grande tema dell’evasione. La soluzione, secondo Vecchiato, passa dunque dal cambio dei criteri di valutazione del bisogno “applicando un parametro di accesso ai trattamenti di tipo misto, reddituale e patrimoniale, anziché il solo criterio di reddito”.
Nello squilibrio del welfare italiano, dove ad esempio la spesa per “famiglia, salute, infanzia e occupazione” è inferiore alla media Ue, a differenza della spesa previdenziale per “vecchiaia e superstiti”, secondo la Zancan serve un’opera di profonda revisione delle pensioni assistenziali “la possibilità di rendere e rigenerare le risorse c’è, ma con scelte coraggiose e capaci di rimettere in discussione i privilegi e le soluzioni che danno ad alcuni togliendo a chi ne ha bisogno”.
Avvenire 8 gennaio 2015